OMELIA
XXXII Domenica del tempo ordinario
Andria, 8 novembre 2020
Letture:
Sap 6,12-16
Sal 62
1Ts 4,13-18
Mt 25,1-13
Siamo alle ultime domeniche dell’anno liturgico, poi a fine novembre, con l’Avvento, incominceremo un nuovo cammino. E come sempre, quando i cammini giungono alle ultime battute, si diventa un po’ pensosi, si comincia a guardare indietro, si fanno bilanci, ci si comincia a chiedere: “Ho camminato davvero? Ho raggiunto una meta nel mio cammino? Oppure ho camminato a vuoto, ho perso tempo?”. Ecco che le pagine bibliche che abbiamo letto sono tutte orientate ad una riflessione seria sul senso della vita e ci aiutano a porci con molta serietà di fronte al tema dell’incontro finale col Signore. Nel Vangelo si parla di uno sposo che è atteso e che tarda a venire e, secondo le consuetudini del tempo, le ragazze che lo aspettano per accompagnarlo dalla sposa, ad un certo punto si addormentano. Quando però poi lo sposo arriva le ragazze che erano pronte vanno alla festa, le altre che dormivano e non si sono trovate pronte purtroppo, amaramente restano fuori dall’incontro col Signore.
Non è la prima volta che troviamo questa immagine: lo sposo rappresenta sempre il Signore che viene incontro a noi. Certo, nella nostra vita Dio ci viene incontro in tante maniere, in tante occasioni. Tutte le volte che veniamo a messa, certo, il Signore ci viene incontro e ci parla, ci apre il cuore all’intelligenza delle Scritture. Ma incontriamo il Signore non solo a messa. Ogni volta che incontriamo un uomo segnato dalla povertà che chiede aiuto, siamo chiamati a fare qualcosa per rendergli la vita meno dura: ecco, il Signore ci è venuto incontro. A casa viviamo una situazione particolare, di difficoltà, il Signore mi viene incontro e mi chiede di rispondere a questa situazione da credente. E si potrebbero fare infiniti esempi.
Dunque la nostra vita è un susseguirsi di incontri col Signore; a volte gli incontri sono chiari, io mi accorgo che il Signore mi passa accanto, altre volte non lo capisco, devo essere attento, sveglio, devo essere – come dice il Vangelo – saggio. Perché se siamo superficiali, non ce ne accorgiamo che passa il Signore. Egli dunque viene, lancia innumerevoli messaggi per chiederci di andargli incontro, poi arriva un momento e il Signore viene l’ultima volta, ed è l’ora della nostra morte. Non parliamo mai di queste cose perché vorremmo non pensarci, e invece a volte pensarci e parlarne, ci fa un gran bene. Certo ci fanno pensare quelle parole scultoree, lapidarie: “E la porta fu chiusa!”. Ci pensiamo mai? Un bel giorno la porta si chiuderà e noi…?
Dunque, mentre aspettiamo quest’ultima volta (che accadrà non sappiamo quando, in che modo, per mezzo di chi il Signore ci chiamerà, non lo sappiamo…) valorizziamo le mille volte che il Signore viene perché, in definitiva, come si vive, così si muore. La vita è un andare incontro al Signore che ci attende per accoglierci se il nostro vivere è stato un camminare verso di Lui. Se io mi sono abituato a dire sempre sì al Signore, pur tra le mie debolezze o le cadute, con tutte le mie fatiche, gli insuccessi, anche l’ultima volta gli saprò dire sì e Lui, soprattutto, dirà di sì a me. Ma se io mi sono abituato a non dirgli mai di sì o a dire sì solo se e quando mi piace o mi conviene, arriverà l’ultima volta e io non sarò pronto a dirgli di sì. E che succederà?
Che il Signore ci dia in quel momento attimi di coscienza, dobbiamo pregare già da ora; non a caso quando recitiamo “l’Ave Maria”, la chiudiamo proprio con l’invocazione “…prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte”. Chiediamo alla Madonna sin da ora che quando arriverà quel giorno si metta al nostro fianco e veda Lei cosa poter fare per aiutarci ad non arrivare a quel momento con la nostra lampada senz’olio.
Ecco il simbolo della parabola: dieci ragazze aspettano lo sposo, ma cinque sono sagge e cinque stolte, non dice cinque buone e cinque cattive, Gesù dice sagge e stolte: le sagge sono persone che davvero hanno nel cuore la sapienza di Dio – come la prima lettura ci suggerisce – la capacità cioè di guardare la vita con gli occhi di Dio, misurare la vita con l’unità di misura di Dio e non con la nostra. Le sagge, sì, si addormentano pure loro perché lo sposo tardava, però quando poi lo sposo arrivò furono pronte perché avevano portato con sé l’olio. Le stolte, cioè le sciocche, le persone superficiali, persone che hanno la testa vuota, che non pensano mai alle conseguenze di quello che fanno, pensano soltanto all’attimo presente con raggiri sempre nuovi, arrivano poi di fronte al Signore che viene e si ritrovano con la lampada senz’olio. Se volessimo fare un discorso di banale generosità glielo daremmo, ma questa volta che significa l’olio? L’olio rappresenta il nostro impegno, l’olio rappresenta la nostra fatica, i nostri meriti, perché no, i nostri frutti (in questi ultimi tempi nel Vangelo spesso abbiamo sentito parlare dell’importanza di portare frutto). Ognuno di noi davanti a Dio deve andare con la propria lampada, col proprio olio, cioè con quello che lui è, con quello che lui ha fatto, non può andare davanti a Dio facendosi bello con le opere degli altri.
Con Dio non può assolutamente andar bene questa storia, non possiamo copiare i compiti degli altri, come fanno a scuole gli alunni discoli e sfaccendati. Alla fine, ecco che vuol dire la parola di Dio: “E la porta fu chiusa”, arrivarono le stolte e bussando si sentirono dire da Dio: “Non vi conosco!”. È terribile! Noi dobbiamo coltivare una speranza che forse è l’unica cosa che ci aiuta a vivere bene: è la speranza di non dover mai sentire queste parole dalla bocca di Dio: “In verità non vi conosco!”. Ed è proprio perché coltiviamo questa speranza che intorno all’altare ora ci accingiamo ad andare incontro, in questo momento, al Signore che viene. Non sappiamo se è l’ultimo o il penultimo o se ce ne saranno altri o se non ce ne saranno più. Chiediamo allora oggi che ogni incontro con Dio ci trasformi sempre in meglio per essere pronti quando ci vorrà incontrare per l’ultima volta.