Venerdì Santo

10-04-2020

OMELIA

Venerdì Santo

Andria, Santuario SS. Salvatore, 10 aprile 2020

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Celebrando le Palme, domenica scorsa, abbiamo ascoltato il racconto della Passione lasciatoci da San Matteo Quest’oggi abbiamo ascoltato il racconto di Giovanni: è la stessa storia, la stessa tragedia, però l’occhio attento di Giovanni coglie alcuni particolari che diventano per noi ora oggetto di preziosa riflessione.
Certo, non si finisce mai di meditare la passione del Signore; ogni volta che noi l’ascoltiamo, ci prende un fremito, uno stupore, una meraviglia: come mai sia potuta accadere questa tragedia? Come mai si sia potuto uccidere un innocente in un modo così crudele? E non troviamo la risposta, restiamo allibiti di tanta violenza, ma poi, se ci pensiamo bene, ci accorgiamo che la passione di Cristo, in fondo non è solo racconto di qualcosa che è accaduto due mila anni fa, è racconto vivo di cose che accadono ancora oggi: gli innocenti, i poveri, mica hanno finito di essere messi in croce dall’arroganza dei potenti di turno? Ecco allora che la passione del Signore si ripete ancora oggi sotto i nostri occhi a testimoniare che davvero il dolore innocente non è un incidente di percorso nella storia dell’umanità; il dolore è parte della vita, è parte della storia, ieri, oggi, domani, dopodomani, sempre.
E il dolore c’è perché c’è il peccato, perché c’è il male, perché l’uomo è egoista, è malvagio. E questo messaggio è tanto attuale: per noi uomini e per la nostra salvezza Gesù ha subito tutto questo, per amore, solo per amore. La morte di Gesù non è stato un incidente della storia, è stato un dono che Gesù ha fatto all’umanità. Si poteva salvare, se solo l’avesse voluto; ed era quello che non riusciva a capire Pilato: “Come mai? Perché non parli? Perché non rispondi?”
Il silenzio di Gesù è la più grande parola.  Ma quando Pilato domanda “Ma allora tu sei re?”, allora non si sottrae e risponde senza esitazione “Si, io sono re”. “Ma come?! Un re che si lascia conciare così? E che razza di re sei tu?”. E Gesù subito precisa: “Il mio regno non è di questo mondo. Tu non avresti nessun potere su di me. Sono io che mi dono, che offro la vita per amore”.
A leggere bene il racconto, sembra quasi che sia Gesù a condurre la scena e, ancor di più, non è tanto Pilato che processa e giudica Gesù, ma è Gesù che processa e giudica Pilato …e tutti noi. Ci mette alla sbarra e ci dice: “Ma che state combinando in questo mondo? Ma vi rendete conto di come avete ridotto questa umanità con le vostre cattiverie, frutto di egoismo?”. Sì, ci lamentiamo tutti che le cose non vanno bene, ma ben pochi sono coloro che di fronte alla tragedia del Cristo in croce chinano il capo, si battono il petto e dicono: “Pietà! Misericordia! Perdonaci. Tu sei morto in croce per me”.
In questi giorni della Settimana Santa è tradizione vedere per televisione, un po’ su tutti i canali, le rappresentazioni della Passione. Quest’anno, in verità, un po’ meno, si attinge a materiali degli anni scorsi per la situazione contingente di questi tempi. Ma c’è un’altra rappresentazione che scorre sotto i nostri occhi e non è una recita, è la verità: è la rappresentazione del dolore indicibile che sta toccando in questi giorni milioni di nostri fratelli, uomini come noi che certamente non hanno fatto più peccati di noi per meritare quella sorte.
E allora che fare? Molti di noi possono essere presi da un senso di grande sbigottimento, di turbamento e ci ritroviamo a domandare: “Ma che succederà, che possiamo fare? Sì, faremo un gesto di carità, lo faremo volentieri, lo faremo anche più generoso, più abbondante del solito, rispetto alle altre volte… Ma poi che possiamo fare?”. Possiamo fare molto! possiamo educarci alla scuola della croce, possiamo imparare a pensarla diversamente, possiamo cercare di estirpare dal nostro cuore tutti i semi di violenza e di male che avvelenano la nostra esistenza.
Contemplando il Cristo in croce, noi contempliamo centinaia di migliaia di cristi che sono oggi sulla croce del dolore. La celebrazione di questo Venerdì Santo quest’anno è particolarmente penosa per noi, perché davvero non riusciamo a toglierci dalla mente, dal cuore le immagini che turbano, che toccano tanti e tanti nostri fratelli, uomini come noi.
La croce di Cristo, sì, ci intristisce, ma ci chiede un supplemento in più di speranza perché noi sappiamo che quella non è stata una sofferenza senza fine. È morto, d’accordo! È spirato come doveva accadere perché si compissero le Scritture, ma nel giro di qualche ora, Gesù è tornato in vita a farci capire che la sofferenza, il dolore, accettato e offerto per amore, è redenzione e salvezza per l’umanità intera.