OMELIA
Veglia pasquale nella notte santa
Andria, Santuario SS. Salvatore, 11 aprile 2020
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«Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro» (Mt 28,1). Questo ci ha detto il racconto che Matteo ci ha fatto nel brano appena ascoltato. Carissimi, proviamo ad immaginare quei passi perché tutti, prima o poi abbiamo fatto una esperienza di questo genere: il passo di chi va al cimitero, passo debilitato di chi non si convince che l’esistenza di una persona cara sia finita, …in quel modo, poi! Proviamo ad immaginare i loro volti pallidi, bagnati dalle lacrime… E la domanda che bruciava nei loro cuori: come può essere che l’Amore sia morto?
A differenza dei discepoli che erano fuggiti, spariti tutti, loro invece, le donne, sono lì. Come hanno accompagnato l’ultimo respiro del Maestro sulla croce, così ora eccole lì, davanti al sepolcro, tra il dolore e l’incapacità di rassegnarsi, di accettare che tutto debba sempre finire così.
E se facciamo uno sforzo con la nostra immaginazione, nel volto di queste donne possiamo trovare i volti di tante madri e nonne, il volto di bambini e giovani che sopportano il peso e il dolore di questi giorni. Vediamo riflessi in loro i volti di tutti quelli che sentono il dolore per quello che sta succedendo alla nostra povera umanità: il dolore di questi giorni, certo, ma anche il dolore in tutte le sue innumerevoli forme: la miseria, lo sfruttamento, il disprezzo verso gli immigrati, orfani di patria, di casa, di famiglia; e poi ancora i volti di coloro il cui sguardo rivela solitudine; dignità sepolta sotto il peso della corruzione, sotto l’egoismo quotidiano sotto la burocrazia paralizzante e sterile che talvolta non permette che le cose cambino. Nel loro dolore, esse hanno il volto di tutti quelli che, camminando per la città, vedono crocifissa la dignità.
Nel volto di queste donne del vangelo ci sono davvero molti volti, e perciò sicuramente troviamo anche il nostro. Ma come loro possiamo e dobbiamo sentirci spinti a camminare, a non rassegnarci al fatto che le cose debbano finire così. É vero, anche i nostri volti parlano di ferite, parlano di tante infedeltà – nostre e degli altri –, parlano di tentativi e di battaglie perse. Il nostro cuore sa che le cose possono essere diverse. Ma ciò che più ci deve preoccupare è il fatto che quasi senza accorgercene, possiamo abituarci a convivere con il sepolcro, a convivere con la frustrazione. Di più, possiamo arrivare a convincerci che questa è la legge della vita spegnendo la speranza posta da Dio nelle nostre mani. Così sono, tante volte, i nostri passi, così è il nostro andare, come quello di queste donne, un andare tra il desiderio di Dio e una triste rassegnazione. Non muore solo il Maestro: con Lui muore la nostra speranza.
Ma il Vangelo ascoltato incalza con il suo racconto: «Ed ecco, ci fu un gran terremoto» (Mt 28,2). All’improvviso, quelle donne ricevettero una forte scossa, qualcosa e, vien da dire, Qualcuno fece tremare il suolo sotto i loro piedi. Qualcuno, ancora una volta, venne loro incontro a dire: «Non temete», però questa volta aggiungendo: «E’ risorto come aveva detto!» (Mt 28,6). E tale è l’annuncio che, di generazione in generazione, questa Notte santa ci regala: Non temiamo, fratelli, è risorto come aveva detto! Quella stessa vita strappata, distrutta, annichilita sulla croce si è risvegliata e torna a palpitare di nuovo (cfr R. Guardini, Il Signore, Milano 1984, 501). Il palpitare del Risorto ci si offre come dono, come regalo, come orizzonte. Il palpitare del Risorto è ciò che ci è stato donato e che ci è chiesto di donare a nostra volta come forza trasformatrice, come fermento di nuova umanità. Con la Risurrezione Cristo non ha solamente ribaltato la pietra del sepolcro, ma vuole anche far saltare tutte le pietre che ci chiudono nei sepolcri dei nostri cuori che consegnano la nostra esistenza a sterili pessimismi, che si traducono poi in ossessionate ricerche di sicurezza nei desideri e ambizioni solo terrene.
Quando il Sommo Sacerdote, i capi religiosi in complicità con i romani avevano creduto di poter calcolare tutto, quando avevano creduto che l’ultima parola era ormai detta e che spettava solo a loro stabilirla, Dio irrompe per sconvolgere tutti i criteri e offrire così una nuova possibilità. Dio, questa notte, ancora una volta, ci viene incontro per stabilire e consolidare un tempo nuovo, il tempo della misericordia. Questa è la promessa preparata da sempre, questa è la sorpresa di Dio per il suo popolo fedele: rallegriamoci, dunque, carissimi fratelli, la nostra vita nasconde un germe di risurrezione, un’offerta di vita che attende il risveglio.
Ecco dunque ciò che la celebrazione di questa notte ci chiama ad annunciare: il palpito del Risorto, Cristo vive! Ed è ciò che cambiò il passo di Maria Maddalena e dell’altra Maria: è ciò che le fa ripartire in fretta e correre a dare la notizia ai suoi discepoli(cfr Mt 28,8); è ciò che le fa tornare sui loro passi e sui loro sguardi; ritornano in città a incontrarsi con gli altri.
Come con loro siamo entrati nel sepolcro, così con loro invitiamoci ed esortiamoci gli uni gli altri ad andare, a ritornare in città, a tornare sui nostri passi, sui nostri sguardi. Andiamo con loro ad annunciare la notizia, andiamo… In tutti quei luoghi dove sembra che il sepolcro abbia avuto l’ultima parola e dove sembra che la morte sia stata l’unica soluzione. Andiamo ad annunciare, a condividere, a rivelare che è vero: il Signore è Vivo. È vivo e vuole risorgere nella storia di tanti di noi che hanno seppellito la speranza, hanno seppellito i sogni, hanno seppellito la dignità. E se non siamo capaci di lasciare che lo Spirito ci conduca per questa strada, allora non siamo cristiani.
Andiamo e lasciamoci sorprendere da quest’alba diversa, lasciamoci sorprendere dalla novità che solo Cristo può dare. Lasciamo che la sua tenerezza e il suo amore muovano i nostri passi, lasciamo che il battito del suo cuore trasformi il nostro debole palpito e rinvigorisca il nostro incerto passo.
AMEN!