Omelia XXXIV Domenica del tempo ordinario

21-11-2021

OMELIA
XXXIV Domenica del tempo ordinario
Andria, 21 novembre 2021
Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo
Letture:
Dn 7,13-14
Sal 92
Ap 1,5-8
Gv 18,33-37

Se volessimo immaginare la storia del mondo, come un lungo film complesso e contorto, potremmo guardare alla festa di oggi come alla sua conclusione. È come uno che entra in una sala cinematografica e si trova alla fine del film, poi magari se lo vede tutto alla seconda proiezione, però intanto ha già visto il finale e quindi non resta turbato dalla trama del film che è complessa.  Ecco, la celebrazione di oggi è un po’ così; noi siamo invitati dalla parola di Dio a contemplare il finale glorioso della storia umana, di questo film – dicevo – complesso, contorto, contraddittorio, a volte misterioso nei suoi esiti, nei suoi sviluppi, tanto che, quando ci pensiamo, tutti ci lasciamo prendere da un senso di scoraggiamento, siamo disorientati. E ci convinciamo così che il cammino della storia sia tutto in discesa verso un baratro sempre più profondo.

Invece quella di oggi è una festa di luce che ci fa contemplare la fine della storia che non è di tenebra, ma di luce, di gioia, di festa: Cristo, re dell’universo! E, paradossalmente, in un giorno come questo noi leggiamo un Vangelo che ci fa pensare. Il brano di oggi ci ha presentato infatti una parte del processo a Gesù davanti a Pilato; la folla inferocita lo ha portato da Pilato, perché pretende che venga emessa una condanna. Pilato, in un primo momento, tenta di capire perché deve condannare un innocente e dunque tenta di aprire un dialogo con Gesù: “Tu sei re?”. La domanda è motivata, perché Pilato non si spiega come mai se questo è un re si è lasciato ridurre così, non si è difeso, nessuno lo ha difeso, nemmeno i suoi amici più cari, i dodici, i quali, invece, nel momento dell’arresto erano scappati via tutti. Dunque Pilato si domandava: “Ma che razza di re è questo? Come fa a dire che è un re, se si è lasciato incatenare, si è lasciato flagellare, insultare in una maniera così terribile, volgare?”. Pilato dunque, meravigliato, gli domanda: “Ma tu sei re?”. Ma il racconto qui ci descrive un passaggio inusuale: Gesù, a sua volta, fa delle domande a Pilato e questa cosa ci lascia un po’ stupiti: “Ma come!? Quando mai si è visto che un condannato fa domande?”. Nei processi, si sa, è il giudice che fa le domande al condannato; il condannato deve solo rispondere; non si è visto mai da nessuna parte che il condannato fa domande al giudice. Gesù, arditamente gli chiede: “Dici questo da te stesso o te lo ha detto qualcun altro sul mio conto?”. Le parti si invertono: a questo punto sembra proprio che sia Pilato sotto processo e Gesù il vero giudice.

Ecco la festa di oggi: Gesù, incatenato, sanguinante, con la corona di spine sulla testa, è il nostro re ed è anche, dunque, il nostro giudice. “Dici questo da te o altri te lo hanno detto? Sei convinto di quello che mi dici?”. Pilato prova un po’ fastidio a sentirsi interrogare da un condannato in quelle condizioni e reagisce anche piuttosto infastidito: “La tua gente ti ha portato a me. Dimmi, che hai fatto?”. E Gesù a questo punto risponde: “Il mio regno non è di questo mondo, perché se fosse di questo mondo i miei servitori non mi avrebbero lasciato, non mi avrebbero abbandonato nelle tue mani”. “Allora sei re?”, dice Pilato. “Tu lo dici”. Gesù è re, certo, e a sanzionare tutto viene poi la scritta sulla croce che descrive il motivo della sentenza: Gesù Nazareno, il re dei giudei. Qualcuno andò a protestare da Pilato che, ancora più infastidito di tutta questa storia sparò la sua sentenza: “Quel che ho scritto ho scritto! Basta!”. E senza sapere lui, da esterno, da pagano, da giudice, diventa il proclamatore più contraddittorio della storia della regalità di Gesù. Gesù, appeso al legno, è il re dei giudei e non soltanto dei giudei: Gesù è il re dell’universo.

Proviamo a riflettere: che cosa ci dice questa immagine? Che cosa vogliamo dire quando diciamo che Gesù è re? Certamente non possiamo fare ricorso ai canoni terreni della regalità; quando parliamo di un re, immediatamente pensiamo a una persona potente, forte, ricca, con degli eserciti a lui soggetti, un re che si deve confrontare con gli altri re e magari deve dimostrare di essere più forte, un re che si deve difendere, deve difendere il proprio territorio, un re che si impone sui suoi sudditi e via di questo passo. E chiaramente non possiamo fare ricorso a questi schemi quando parliamo di Gesù re, ci troviamo completamente disorientati.

Gesù è re e diventa re non facendo sfoggio di potenza, ma – se così possiamo dire – facendo sfoggio di amore. Di fronte a Gesù in croce, noi restiamo letteralmente senza parole e vien da dire: o è un matto o è un Dio; o è un folle, il più grande folle della storia, oppure è veramente il re, il Signore della storia, che mette in discussione tutti i signori del mondo, i vari padroni, padrini, boss…Tutti gli uomini che osano assumere un ruolo di comando sugli altri e tutti i Pilato di questo mondo oggi ricevono un’altissima lezione da questa festa, perché vedono ridimensionata, relativizzata la loro idea di essere i potenti. E Gesù oggi ci fa capire invece che da Lui in poi chi vuole essere il più grande si deve fare servo di tutti, come ha fatto Lui che era Figlio di Dio e si è fatto servo; non ha voluto il comando, non ha voluto il potere, ma si è messo a servizio, ha donato la vita. Perciò se noi amiamo, se noi adoriamo Gesù, se noi lo consideriamo come nostro re, dobbiamo essere sudditi degni di questo re, cioè dobbiamo interpretare la vita come il nostro re. E dunque, facciamoci un esame di coscienza: Ma noi da che parte stiamo? Sì, va bene, veniamo in Chiesa, facciamo tutte le nostre belle funzioni, le nostre tradizioni, le nostre devozioni, però da che parte stiamo? Come interpretiamo noi la grandezza? Quale grandezza inseguiamo noi? La grandezza di questo mondo che ci fa sentire dei padreterni solo perché abbiamo magari tanto denaro accumulato, solo perché abbiamo del potere da gestire? È questa la grandezza che inseguiamo? Oppure un’altra, quella incarnata da Gesù?

Noi oggi contempliamo dunque la conclusione della storia che è la vittoria di Cristo re, vittoria della pace, della luce, della verità, della giustizia. Perciò, guai a noi se ci convinciamo che la giustizia non verrà mai, perché allora abbiamo fatto il peccato più grande della nostra vita. Quando noi non crediamo più alla potenza di Cristo Signore, che cristiani siamo? Noi dobbiamo credere a Gesù, e come Lui e con Lui dobbiamo mettere in gioco tutta la nostra vita e seguirlo, fare come ha fatto Lui, costi quello che costi, pronti a pagare qualunque prezzo.

Far festa per Cristo Re vuol dire dunque far festa per una vittoria che può tardare ma che poi arriva. La contemplazione del Cristo crocifisso non può farci dimenticare l’attesa del Cristo risorto. Uscendo da questa celebrazione oggi, dobbiamo avvertire più forza, più grinta, più impegno, più prontezza ad affrontare tutte le contraddizioni con questa certezza nel cuore: vale la pena giocare la vita per questo Re, perché siamo sicuri che alla fine è Lui che vince!