Omelia XXX Domenica del tempo ordinario

24-10-2021

OMELIA
XXX Domenica del tempo ordinario
Andria, 24 ottobre 2021
Letture:
Ger 31,7-9
Sal 125
Eb 5,1-6
Mc 10,46-52

Carissimi fratelli e sorelle,

potremmo riassumere la parola di Dio di questa domenica nelle parole che abbiamo ripetuto durante il Salmo responsoriale: “Grandi cose ha fatto il Signore per noi”. Sì, in fondo ogni volta che veniamo in Chiesa noi celebriamo, facciamo memoria, le grandi cose che il Signore ha fatto per noi.

Di quali grandi cose si tratta? Il dono della salvezza, il dono di aver dato un senso alla nostra vita, il dono di averci aperto gli occhi sulle verità della nostra esistenza, così come ci illustra il miracolo del vangelo che abbiamo appena letto.

La prima lettura mette ben in risalto la salvezza di Dio come dono gratuito, inatteso. Si tratta del periodo in cui il popolo ebreo era in esilio a Babilonia ed era totalmente sradicato dalla propria terra, dalle proprie radici, si era un po’ disperso, rassegnato, convinto che la patria non l’avrebbe vista più. E invece, poi, accade qualcosa nell’evolversi delle vicende storiche e il popolo torna quando proprio non l’aspettava più, sperimentando ancora una volta una nuova liberazione. A un popolo rassegnato Dio fa brillare la luce del ritorno.

Ecco dunque che possiamo comprendere il valore di quel Salmo bellissimo: Grandi cose ha fatto il Signore per noi. Sui fiumi di Babilonia sedevamo piangendo; agli alberi di quella terra appendemmo le nostre cetre, perché non servivano più per cantare gli inni di Sion: ormai è finita! E invece il popolo torna, torna a vedere la propria terra. Questa storia rappresenta dunque un segno di quello che Gesù poi realizza in pieno donandoci la salvezza. La salvezza significa dare un senso alla vita, dare una risposta ai perché più grandi della nostra esistenza: perché io vivo? Dove vado? Che senso ha la mia esistenza? Perché io soffro, quando capita? Perché a volte le cose mi vanno bene? Che merito ne ho? Questa è la salvezza.

Il bisogno di salvezza è un bisogno che ci portiamo dentro; a volte lo reprimiamo, a volte lo dimentichiamo, a volte facciamo finta che non ci sia, ma poi ogni tanto questo bisogno esplode e ci porta a riconoscere con grande umiltà che davvero solo il Signore ci salva. Ecco allora il Vangelo che abbiamo ascoltato: il cieco. San Marco, nel modo di raccontare, si vede chiaramente che non voleva soltanto narrare un fatto ma voleva dare dei messaggi davvero tanto importanti. Avete sentito che sul ciglio della strada un cieco stava lì a mendicare. Questo cieco è un uomo certamente infelice, perché è costretto a dipendere dagli altri, da chi lo porta qua e là e, ancor di più quell’uomo cieco è mendicante, deve vivere di elemosina, affidato alla pietà dei passanti.

Vedete, questo cieco è l’emblema, è il simbolo della condizione umana; quel cieco siamo noi, incapaci di vedere la verità, sia perché la nostra vista comunque è limitata e sia perché tante volte noi siamo accecati da luci sbagliate, da riflettori potenti che si puntano negli occhi e non ci fanno veder niente. Egli riconosce la propria condizione, non si lascia andare, non si abbatte, non si scoraggia, ma grida. Grida! “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Ecco, noi dovremmo prendere esempio da questo cieco e gridare a Gesù il nostro bisogno di salvezza, gridarlo! Quando mai noi abbiamo gridato a Gesù, sia perché l’orgoglio ci impedisce di farlo e sia perché la nostra fede, a volte, è troppo sbiadita, troppo mediocre. Questo cieco grida a Gesù, e se le sue urla vengono zittite dalla folla “egli gridava più forte”, fino a che Gesù non si ferma e lo fa chiamare.

Questo povero cieco balzò in piedi, buttò il mantello (probabilmente era l’unica cosa che lui aveva; ma non gli interessava più, perché Gesù lo aveva chiamato!), balzò in piedi! Ecco, vedete, che bella figura ci troviamo di fronte: un cieco che grida, un cieco che balza in piedi, un cieco che sa che solo Gesù lo può salvare. Questa dovrebbe essere la fotografia di ciascuno di noi, ciechi che gridano a Gesù, che gridano anche quando la folla tenta di farli zittire; un cieco che grida, che urla fino a che Gesù non lo ascolta e gli ridona la vista: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. “Maestro mio che io riabbia la vista!”. E Gesù: “Va’, la tua fede ti ha salvato”.

Perché Gesù ha guarito questo cieco? Perché non poteva non guarirlo; a un uomo che grida così come si fa a dir di no? Capite? Ecco la fede! E proviamo a chiederci: perché tante volte Gesù non ci ascolta quando noi preghiamo, non per chiedere la vista, ma per chiedere magari tante cose e poi ci accorgiamo che Gesù non ci ascolta? Perché? Probabilmente perché noi non gridiamo come quel cieco; chiediamo, ma chiediamo quasi come se fosse un diritto; abituati alla società in cui tutto è dovuto, crediamo che anche da Dio tutto sia dovuto, per cui non ci preoccupiamo neanche più di gridare, cioè di pregare con intensità. Quel cieco, dopo che riacquista la vista – dice il Vangelo – si mise a seguirlo lungo la via. Ecco, quel giorno Gesù guadagnò un discepolo in più, uno che era cieco.

Che cosa accade quando Gesù ci incontra? Accade che, se noi abbiamo l’umiltà di gridare aiuto, l’umiltà di chiedere salvezza, Gesù si ferma con noi, non passa oltre, non corre via perché ha fretta, si ferma e ci dona la sua salvezza e, certamente, nel momento in cui noi ci sentiamo amati, salvati, capiti da Gesù diventiamo suoi discepoli.

Ecco, noi oggi intorno alla Parola, intorno all’altare riacquistiamo la vista e, quando usciremo da quella porta, ci metteremo tutti quanti, come quel cieco, a seguire Gesù lungo le strade della nostra vita.

Intorno a questa mensa, dunque, anche noi facciamo giungere al cuore di Dio il nostro grido convinto, umile, gioioso, pieno di fede e sicuramente Gesù non mancherà di ascoltarci: usciremo da questa Chiesa veramente salvati, trasformati, cambiati dentro e con un forte desiderio di testimoniare tutto questo agli altri che incontreremo!