XXIX Domenica del Tempo Ordinario anno A

22-10-2023

Letture:
Is 45,1.4-6
Sal 95
1Ts 1,1-5
Mt 22,15-21

 Il vangelo di questa domenica si chiude con una massima, che è una sentenza famosissima, la si cita spesso per mille cose: “Date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio”. E ci sono delle espressioni della prima lettura che fanno da contrappunto a questa frase di Gesù; per due volte nel brano di Isaia troviamo questa frase che Dio stesso pronuncia: “Io sono il Signore, non ce n’è un altro Dio fuori di me”, poi poco più avanti: “Io sono il Signore, non ce n’è altro”. Come mai questo Dio sottolinea, insiste nel dirci che Lui è il Signore, non ce ne sono altri. Questo vuol dire che Dio sa che una delle tentazioni continue che l’uomo ha da affrontare è proprio quella di farsi divinità alternative, di farsi altri dei più accondiscendenti, più comodi, più appaganti almeno sul piano umano, terreno, che danno più soddisfazione.

Facciamo un esempio: quando io vedo che una persona, un ragazzo, un giovane, un adulto, un papà di famiglia che è uno sportivo, niente di male, si può essere uno sportivo; ma quando io vedo che un papà, un adulto, un giovane per lo sport trova tempo, consuma tempo, spende denaro, sacrifica a volte famiglia, figli, moglie perché pensa solo a quello, per lo sport è capace di fare sacrifici immensi, di spendere fior di quattrini per seguire la squadra, poi è sollecitato da qualche richiesta di aiuto e lì mette cinquanta centesimi, ditemi voi, non è attuale questo discorso? Ditemi voi chi è davvero il nostro Dio? Da come esponiamo i nostri gesti e le nostre passioni lì si vede chi è il nostro Dio. Allora il Signore oggi ci dice ancora una volta: “Ricordatevi che io sono il Signore, non ce n’è altri”. E dobbiamo stare attenti perché tutti gli altri dei sono argento e oro – dice il salmo – hanno mani e non parlano, hanno occhi e non vedono, sono oggetti, sono cose. E, a dirla tutta, in definitiva noi siamo il dio di noi stessi, noi ci autoproclamiamo dei, è l’uomo che si emancipa perché ritiene di non aver bisogno di Dio, di poter fare a meno di Dio. Della partita non si può fare a meno, della palestra non si può fare a meno, della serata in allegria con gli amici non si può fare a meno, ma di Dio…, della messa…facciamo tranquillamente a meno, salvo poi a correre a chiedere aiuto nei momenti di bisogno!  Questa è la nostra vita, la nostra realtà.

L’altro tema, strettamente legato con questo è il rapporto con il Cesare di turno, cioè chi esercita la politica.  Non poche volte succede che uno riceve il consenso del popolo e crede di diventare un padreterno, di potersi comportare in maniera assolutamente spregiudicata, ha il potere, fa quello che vuole, diventa come un dio. Domandano dunque a Gesù: “è lecito o no pagare il tributo a Cesare?”. Giova ricordare che al tempo di Gesù la Palestina era governata dall’impero romano, che aveva un sistema di esazione delle tasse eccessivo, esasperante; la gente era costretta a versare soldi nelle casse di Roma ed enormi navi piene di oro e di denaro arrivavano nei porti vicino Roma dalle province. E con questo denaro Roma poi diventava sempre più bella, più ricca di monumenti; tuttora si possono ammirare ancora i resti di grandiosi monumenti ma dobbiamo sapere che quella grandezza era costruita sul sangue di tanta povera gente. Era dunque una realtà ingiusta e quindi tendono un tranello a Gesù: se Gesù avesse detto che bisognava pagare, l’avrebbero preso per uno che era contro il popolo, che era amico degli oppressori; se Gesù avesse detto che non bisognava pagare perché era ingiusto, gli avrebbero chiesto di esporsi per la verità e la giustizia e di diventare un capo politico, militare. Gesù si libera da questo tentativo e chiede di fargli vedere una moneta: “Di chi è questa immagine?”. Sulla moneta c’era l’immagine dell’imperatore, allora Gesù dice: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Che è come dire: Cesare non è Dio, nessun cesare di questo mondo, nessun re, nessun presidente è e sarà mai un dio. quando la politica si ammanta di sacralità è pericolosa. Gli esempi nella storia sono numerosi; perfino le forze naziste dell’ultima guerra amavano dire: “Dio è con noi”, e avendo dio dalla loro parte poi si è visto quello che hanno combinato. È facile per uno che sta in un certo posto dire: “Dio è con me”, perché in nome di questo Dio poi tu fai quello che vuoi, ti senti giustificato e pretendi pure di essere appoggiato.

Allora Gesù con questa sua sentenza ci obbliga a tenere ferme le debite distinzioni. Nessun cesare sarà mai un dio, un cesare va, l’altro viene, nessun governo è eterno, tutti sono transitori, e tutti siamo comunque tenuti ad andare oltre i “cesari” di turno. Date a Dio quello che è di Dio. Proprio tenendo conto del tema dell’immagine, se sulla moneta c’è l’immagine di Cesare, nell’uomo, nel cuore di ciascuno di noi c’è l’immagine di Dio; Gesù rimanda al tema della creazione.  Ricordate: quando Dio fece l’uomo lo fece a sua immagine e somiglianza. Noi siamo immagine di Dio e dunque apparteniamo a Dio, perché vogliamo fare per forza gli orfani? Perché ci volgiamo emancipare da Dio? Quando l’uomo non riconosce la propria origine è una rovina, si salvi chi può. Quando si elimina Dio dall’orizzonte dei valori succede di tutto e, quel che è peggio, si giustifica tutto. Il Padreterno è uno solo, altri non ce ne sono; è inutile che ci gonfiamo di orgoglio, di presunzione, di intoccabilità, è inutile che ci vogliamo ammantare di perfezionismo, lo sappiamo chi siamo, siamo peccatori, siamo limitati e fragili, tutti.

Riconoscere la signoria di Dio significa mettere ogni cosa al suo posto e camminare sulla via del bene. Misconoscere, eliminare Dio significa introdurre elementi che disturbano, guastano e rovinano e così noi siamo la causa delle nostre rovine e delle nostre sciagure, con il male che pensiamo, che diciamo e che facciamo. Ecco dunque come questa parola di Gesù si rivela di una perenne e grande attualità.

Accogliamo questa parola e riflettiamo seriamente.