OMELIA
XVII Domenica del tempo ordinario
Andria, 25 luglio 2021
Letture:
2Re 4,42-44
Sal 144
Ef 4 1-6
Gv 6,1-15
Carissimi fratelli e sorelle,
come sapete, quest’anno ci sta accompagnando nel nostro itinerario liturgico il Vangelo di Marco, ma da oggi e per quattro domeniche si farà nostra guida il capitolo VI del Vangelo di Giovanni, che ci aiuterà a fare una bella riflessione su Gesù che è il pane che sazia ogni nostra fame di vita, di verità e di bene. Nel brano che ci è proposto oggi, Giovanni incomincia col dirci che Gesù vide una “grande folla” che lo seguiva e mostrandosi preoccupato di nutrirla questa folla pone una domanda a Filippo, per mettere alla prova la sua fede: “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”.
Filippo non coglie l’intenzionalità profonda della domanda di Gesù e si ferma a considerare solo l’aspetto economico della situazione per l’oggettiva impossibilità di far fronte alla fame di tanta gente: “Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo”. Andrea, a sua volta, si limita a segnalare a Gesù la presenza di un ragazzo che ha quel po’ di cibo a partire dal quale poi Gesù sfamerà le folle: “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?”. Quasi me lo immagino quel ragazzo che rinuncia volentieri a quanto portava in borsa per far fronte, anche se in maniera assolutamente sproporzionata, alla fame della folla. Ma si sa, i piccoli a volte hanno degli eccessi di generosità che fanno arrossire noi adulti. Gesù, dunque, prende l’iniziativa e lui stesso, in prima persona, prende quel cibo e lo distribuisce rendendo grazie. Tutti si cibano a sazietà e avanza ancora parecchio cibo. Il poco di quel ragazzo, messo nelle mani di Gesù, diventa abbondanza per tutti. E, a ben pensarci questo è il modo di agire di Dio. Lui sa che noi possiamo e riusciamo a dargli ben poco di noi, ma non ce dobbiamo preoccupare, il nostro poco, se messo con gioiosa generosità nelle sue mani, diventa vita abbondante per tutti. E, per uno dei tanti paradossi che troviamo nella storia di Gesù, oggi un ragazzo si fa nostro maestro di vita evangelica!
La folla però coglie il gesto come segno che rivela qualcosa della identità profonda di quel maestro che non si stancava mai di ascoltare, ma arriva a delle conclusioni che Gesù rigetta infastidito: volevano farlo re. E, sapendo questo, Gesù quasi fugge, si ritira in solitudine sulla montagna. La sua regalità è altra e apparirà nel suo paradossale splendore non nella festa per i miracoli, come quello di oggi, ma solo nella gloria della croce. Gesù perciò si ritira, fugge coloro che di un profeta vogliono farne un re, coloro che da un gesto di amore e di rivelazione vogliono trarre un’istituzione politica. Fugge chi lo applaude e lo acclama, fugge persino i propri discepoli, mostrando che a volte l’arte della fuga è l’unica possibilità di salvaguardare la qualità e la dignità della propria vita e il carattere evangelico della propria fede. Notorietà e successo possono disumanizzare. E sotto i nostri occhi ci sono fin troppi esempi!
Gesù fugge perché si rende conto che l’intenzione della folla rappresenta per lui una vera e propria tentazione. Accettare di essere re significherebbe entrare in un gioco perverso di potere in cui quasi sempre non vige il servire gli altri, ma il servirsi degli altri. Il rifiuto di essere fatto re rivela che Gesù non vuole che gli uomini si asserviscano, pagando con l’obbedienza e la sottomissione il pane che potrebbero ricevere. Gesù chiama alla libertà e fa della sua vita un insegnamento di libertà.
A pensarci bene, spesso noi uomini nella pratica della vita spirituale non cerchiamo Dio col sincero desiderio di trovare un senso alla vita e a tutto ciò che essa porta con sé, ma solo miracoli, soluzioni che ci rendano la vita facile e comoda, libera da qualsiasi tipo di sofferenza. Gesù, rifiutando la regalità, rifiuta di servirsi del miracolo e del potere come strumenti di asservimento dell’uomo; rifiuta il dominio sulla coscienza di noi uomini. Per Gesù insomma noi non siamo sudditi, ma fratelli, fratelli suoi e tra di noi.
Gesù così consegna un criterio anche a noi che siamo i suoi discepoli, la sua Chiesa: mai sfruttare la debolezza e il bisogno umano, la sofferenza, la paura, la malattia, il peccato, la mediocrità degli uomini per indurli a consegnare la propria coscienza nelle mani di chi promette loro comprensione, perdono e consolazione.
Ecco, cari fratelli, portiamo nel cuore quanto il Vangelo del Signore oggi ci ha consegnato e facciamone tesoro da custodire con cura e da mettere in circolo con impegno vero nella nostra vita di credenti.