Letture:
Dt 30,10-14
Sal 18
Col 1,15-20
Lc 10,25-37
Carissimi,
la pagina del vangelo che abbiamo ascoltato è molto bella, la conosciamo bene, chissà quante volte l’abbiamo sentita: la parabola del buon samaritano. Come Chiesa diocesana ci siamo soffermati a lungo negli anni appena trascorsi. Gesù quel giorno fu provocato da un dottore della Legge che – dice il testo – gli chiese, per metterlo alla prova… Era un dottore della legge, cioè uno che la conosceva, la insegnava agli altri, diremmo un teologo, un catechista, uno che le cose le sapeva bene. Egli dunque fa una domanda a Gesù non certo per sapere, perché le cose le sa, ma per fare sfoggio di sé e per mettere alla prova Gesù. Il quale, a sua volta, risponde e rimanda a ciò che lui sa, come per dire: “Perché me lo chiedi? Lo sai, lo insegni agli altri, tu sei un dottore. Che cosa leggi nella Bibbia?”. E quello risponde: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, con tutta la tua mente e il prossimo come te stesso”. Dice Gesù: “Hai visto che lo sai? Perché me lo hai chiesto? Gesù smaschera la cattiva intenzione di questo signore ma lui, volendo giustificarsi, con aria di sufficienza, risponde con una battuta, per lui non era nient’altro che una battuta, più che una domanda: “E chi è il mio prossimo”?
Quante volte anche noi pensiamo così: Sì, il vangelo…, sta scritto…, parola di Dio…, però la vita è un’altra cosa. Allora Gesù, sentendosi provocato, racconta questa parabola e quando conclude, a sua volta domanda a quest’uomo: “Secondo te, dei tre, chi è stato prossimo per il malcapitato?”. La domanda è come capovolta: lui aveva chiesto: “Chi è il mio prossimo?”, e Gesù, invece gli dice: “Chi è stato prossimo?”. Dunque, la vera domanda che tutti ci dobbiamo porre non è: “Chi è il mio prossimo?”, ma: “Di chi sono prossimo io?”.
Quando noi facciamo il discorso “chi è il mio prossimo”, noi restiamo sulle generali e abbiamo sempre la capacità di dire: “Quello sì, quello no; quello merita, quello non merita; oggi sì, domani no”. Ma quando Gesù dice: “Di chi tu sei prossimo?”, allora è diverso. Quindi Gesù oggi chiede a noi di metterci in gioco: di chi siamo prossimo noi? Intanto ci dobbiamo porre una domanda preventiva a tutto il ragionamento: non è che, per caso, non solo non siamo prossimo, ma qualche volta ci capita o ci è capitato nella vita, se ci guardiamo indietro, di essere dei briganti che fanno del male al prossimo? La prima parte della parabola mette in luce questa figura davvero da attualizzare: un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti, i quali lo spogliarono, lo percossero e lo lasciarono a terra mezzo morto.
I briganti, dunque: riflettiamo un po’ su questa figura del vangelo. Chi sono i briganti? Noi pensiamo che i briganti sono soltanto i rapinatori, quelli che fanno del male, che dichiaratamente fanno parte della categoria dei cattivi e quindi noi li conosciamo e li giudichiamo, puntiamo il dito: “Quello è un brigante, è un rapinatore, è un delinquente…”. È troppo facile questo! Proviamo a riflettere: quante volte ci sono dei briganti mascherati da persone per bene! A noi tutti, dunque, può capitare nelle relazioni che viviamo, nel lavoro, nella politica, nel sociale, nello sport pure, perché no, oggi lo sport è diventato un brigantaggio, a tutti noi può capitare di essere dei briganti e forse non ce ne rendiamo nemmeno conto. Quando poi ci dobbiamo confessare ce ne usciamo con la battuta: “Ma io non ho ucciso nessuno, non ho mai rubato…”. Sarà poi vero? Quante volte si può approfittare del proprio ruolo a tutti i livelli e far del male, compiere delle ingiustizie, fare un favore a qualcuno e corrispondente a quel favore c’è un’ingiustizia fatta ad un altro. Questo significa essere briganti perché, se c’è gente che soffre, che piange, che sta male non è un caso, c’è qualcuno che li fa star male, nessuno vuole star male.
Ecco allora la nostra riflessione su questo tema: briganti forse lo siamo anche noi e non ce ne rendiamo conto. La parola di Dio ci aiuta in questo esame di coscienza. Ma poi comincia la sfilata accanto a questo poveretto che sta lì a terra mezzo morto, sta in una condizione nella quale se qualcuno non lo aiuta, muore. La colpa di chi è, se quello muore? È dei briganti? Certo! Ma è anche di chi è passato e non ha fatto niente per aiutarlo. Ecco, allora la sfilata: passa il sacerdote – dice il vangelo – lo vide e passò altre, dall’altra parte, come capita tante volte a noi che incrociamo sulla nostra strada delle situazioni che chiedono il nostro aiuto e cambiamo strada per non incontrare una persona da salutare, per non incontrare una persona che sappiamo forse ci sta chiedendo aiuto, una persona che sta in difficoltà.
Se chiediamo al sacerdote: “Scusa perché non ti sei fermato?”. Quello certo i motivi li aveva, magari andava di fretta perché doveva celebrare il culto. D’accordo, e chi gli può dare torto. La legge del culto, poi, impediva ai sacerdoti di sporcarsi col sangue; quindi quel sacerdote poteva avere tutti i motivi di questo mondo per non fermarsi. Sta di fatto che se quel giorno fosse passato solo lui e nessun altro più, quel poveretto moriva. La colpa di chi sarebbe stata? Dei briganti ma anche del sacerdote che non ha fatto quello che poteva fare, andando oltre le leggi, le norme e le prudenze di questo mondo.
Poi passa il levita, stessa scena! Meno male che passò quel samaritano, quel giorno, altrimenti quello lì era morto e non c’era più parabola da raccontare. Meno male che passò il samaritano! E teniamo presente che i samaritani non avevano una buona fama presso i giudei, erano considerati eretici, scomunicati, brutta gente. C’era tutta una letteratura di barzellette infamanti sui samaritani. Gesù invece esalta quest’uomo, giudicato cattivo dalle convenzioni umane, e che invece dimostra avere un cuore buono. Ecco, tante volte dietro l’apparenza, dove meno ce ne accorgiamo noi, c’è il cuore buono e questa è la riflessione che ci vuol far fare Gesù. I due che passano sono persone dell’istituzione, pienamente inseriti nelle regole, nell’osservanza, perfetti i quali, però non hanno un cuore buono. Il terzo è fuori di ogni regola, però ha il cuore buono.
“Che devo fare per avere la vita eterna?”, aveva chiesto il dottore della Legge. “Va e anche tu fa lo stesso”. Piuttosto che starti a domandare: “Che cosa devo fare?”, domandiamoci oggi: “Com’è il mio cuore? è buono, aperto, disponibile o è rigido, di pietra? Mi so commuovere, so aver compassione delle miserie degli altri o non me ne importa niente e ho sempre un motivo, una scusa per dire: “Non tocca a me, che facciano gli altri”?
Ecco dunque la riflessione che lascio a voi quest’oggi, in ascolto della parola di Dio. Ognuno di noi tiri le sue conseguenze, si faccia il suo esame di coscienza.