Letture:
Is 66,10-14
Sal 65
Gal 6,14-18
Lc 10,1-12.17-20
Carissimi fratelli e sorelle,
Aiutati dal Vangelo di oggi, noi siamo invitati a partire, nella nostra riflessione da una domanda fondamentale: Che cosa vuol dire essere discepoli di Gesù? Vuol dire che lui è il maestro e noi siamo alla sua scuola, prima di tutto. E vuol dire che noi siamo da Lui chiamati, istruiti e mandati a due, a due, dice Gesù. Che vuol dire questo piccolo particolare? Vuol dire che l’impegno cristiano non è un fatto che ciascuno si può gestire da sé, il discepolo non è un eroe solitario, anche perché non ci riuscirebbe ad esserlo. “A due a due”, cioè l’annuncio del vangelo, la fedeltà a Cristo, la testimonianza al regno è qualcosa che ci impegna insieme, che ci lega gli uni agli altri. La fede, la testimonianza cristiana non è, come qualche volta si sente dire, un fatto privato.
E poi, se uno è cristiano si vede, si nota; l’essere discepolo di Cristo implica che a livello di comportamento si noti qualcosa e questo significa essere testimoni, quando uno vede un cristiano e dice: “Quello ci crede veramente, quello segue Gesù, si impegna, fa sul serio!”.
Chi sono, dunque, i discepoli del Signore? Il Vangelo oggi comincia con questo piccolo particolare: “Gesù designò altri settantadue discepoli”. Prima di questi altri chi c’era? C’erano i dodici. Allora definiamo bene i due gruppi: i dodici, che sono gli apostoli e i settantadue, che sono i Discepoli. Voi sapete che nella parola di Dio, nella Bibbia i numeri hanno sempre un valore un po’ simbolico, allora i dodici perché dodici erano le tribù del popolo d’Israele e dunque gli apostoli sono dodici per indicare le guide del nuovo popolo di Dio che non è più un popolo, ma l’insieme di tutti i popoli, e oggi la funzione degli apostoli è svolta dal Papa, dai vescovi, dai sacerdoti, dai ministri sacri, noi oggi siamo gli apostoli per voi.
Poi ci sono i settantadue, i discepoli. E chi sono i discepoli? È facile intuirlo: i discepoli siete voi. E perché settantadue? Perché nelle antiche tavole dei popoli, negli archivi dell’antichità c’era questa convinzione: che i popoli del mondo fossero settantadue. Allora ancora una volta un’idea di universalità. Dunque, noi siamo i successori degli apostoli, voi siete i successori di quei settantadue discepoli che Gesù sceglie, chiama e manda a due, a due ad annunziare il regno di Dio.
“Andate”, dice Gesù. Voi siete dei “mandati”, non ve lo dimenticate mai. La vostra vita cristiana è scandita da questi due verbi: voi siete chiamati da Gesù alla comunione con Lui, all’amicizia con Lui, alla salvezza e voi siete mandati; tutta la nostra vita sta dentro questi due verbi: chiamati, mandati. E Gesù ci dà oggi delle istruzioni: “Andate. Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi”. Questa affermazione di Gesù ci fa un po’ pensare. Il discepolo di Cristo oggi è mandato disarmato, non ha armi con cui difendersi e difendere la propria testimonianza; l’unica sua forza è la Parola che annuncia, è la verità che serve; non ha la possibilità di alzare la voce, di rimproverare, di sgridare, di punire qualcuno che non vuole accettare. La parola di Dio non si impone mai a nessuno, si propone, si offre. Nel momento in cui uno si trova di fronte ad un’offerta può accettare, può rifiutare. Se accettano siamo contenti, se non accettano non è che dobbiamo avere paura dell’insuccesso perché nemmeno Gesù ha avuto paura dell’insuccesso, Lui per primo ha concluso la sua vita con un solenne insuccesso. La croce che cos’è? È un fallimento. Gesù, sul piano umano, è un fallito, è uno che ha sbagliato tutto. Allora, noi che siamo i discepoli di questo fallito dobbiamo sapere già in partenza che Gesù non ci manda a raccogliere applausi, consensi, successi. No. Lui ci manda ad annunciare la sua verità, poi l’accoglienza di questa verità non sta a noi raccoglierla, né dobbiamo giudicare qualcuno che ha ricevuto il nostro annuncio e non l’accetta.
Proviamo ad entrare ancora di più dentro alle parole di Gesù che il Vangelo oggi ci riporta: “In qualunque casa entriate, portate pace. Se questa pace viene accolta, benissimo; se questa pace non viene accolta, tornerà su di voi. Ma voi continuate il vostro cammino. Che è come dire: non state lì a recriminare o a piagnucolare, a lamentarvi perché la vostra parola non ha avuto successo. Non importa”. Di fronte alla Parola di Dio l’uomo è libero, può accogliere, può rifiutare, se la vede lui col Padreterno, nessuno di noi è autorizzato a giudicare, a etichettare, a dire: “Questo è buono, questo è cattivo…”. Ecco cosa vuol dire: “Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi”, per cui Gesù ci manda attrezzati di un’unica arma, l’arma dell’amore, l’arma della verità, l’arma della solidarietà e l’arma dei valori del vangelo; queste sono le nostre armi, tutte le altre armi non fanno parte del corredo cristiano. Questo significa che dobbiamo essere pronti: l’agnello sa che, in mezzo ai lui, da un momento all’altro, può essere sbranato.
Allora quando Gesù ci dice: “Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”, vuol dire che noi dobbiamo cambiare il mondo non con la forza delle armi, ma con l’arma dell’amore e l’arma dell’amore significa croce, dono di sé, sacrificio, significa che uno si spende, si mette in gioco ed è pronto a pagare tutti i prezzi, non chiede agli altri di pagare, paga lui e lo fa volentieri, lo fa con gioia, senza sbatterlo in faccia a nessuno. Questa è la condizione del cristiano ai tempi di Gesù ma anche oggi, anzi forse è anche un po’ peggio perché noi ci illudiamo di vivere in un mondo cristiano ma non è così. Sì, tutti quanti ci battezziamo, tutti quanti ci sposiamo in Chiesa, tutti quanti facciamo in chiesa i nostri passaggi obbligati in certi momenti della vita ma non siamo cristiani perché altrimenti certe cose non dovrebbero succedere nella cronaca grande e piccola, quella del mondo intero e quella del nostro piccolo mondo.
Essere discepoli non è un fatto anagrafico, è un fatto che ci impegna a sentirci in ogni momento chiamati da Lui, istruiti da Lui e mandati. Questa è la nostra vita, tutto il resto sono chiacchiere, fumo, vuoto. Dunque, chiediamo al Signore che ci aiuti in questa santa domenica a prendere coscienza della nostra identità: chi siamo? Non “quello che dobbiamo essere”, ma “chi siamo”. Siamo discepoli. Allora è questione di fedeltà a ciò che siamo.
Che il Signore dunque ci aiuti ad essere fedeli a ciò che siamo!