Letture:
2Re 5,1-15a
dai Sal 42-43
Lc 4, 24-30
Carissimi fratelli e sorelle,
Carissimi Confratelli Presbiteri e Diaconi,
La circostanza festosa che ci vede oggi uniti in preghiera per la celebrazione della santa Eucarestia è una occasione davvero preziosa, visto che siamo a metà circa del cammino quaresimale, per fare un primo bilancio, per domandarci come sta andando questo cammino, come procede il nostro itinerario di conversione. Naturalmente ci fa da guida la Parola che ci è stata donata, una Parola che, innanzitutto attraverso il segno dell’acqua del Giordano, descrive l’azione di Dio nella guarigione di Naaman dalla lebbra, terribile malattia, segno della ancor più terribile malattia del peccato, da cui ci lava l’acqua del Battesimo.
Infatti, sulla scia del vangelo di ieri che ci ha visti con Gesù sostare al pozzo per incontrare la donna samaritana, la prima lettura di oggi ci ha raccontato l’esperienza di Naaman il Siro che, inizialmente si mostra restio a bagnarsi nelle acque del Giordano, come gli aveva prescritto il profeta Eliseo, ma poi, accogliendo le insistenze dei suoi servi si bagna nel fiume e viene guarito dalla lebbra.
E poi la pagina del Vangelo di Luca ci ha portati nella sinagoga di Nazareth, il paese in cui Gesù aveva vissuto tutti gli anni della sua fanciullezza e giovinezza, dove perciò lo conoscevano tutti, insieme alla sua famiglia. L’episodio si conclude con un deciso rifiuto da parte dei suoi concittadini ad accoglierlo come messia, portatore di una parola di salvezza. E Gesù che, con grande amarezza e delusione, commenta il rifiuto dei suoi compaesani con l’espressione: Nessun profeta è ben accetto in patria. E, passando in mezzo a loro – commenta san Luca – si mise in cammino. Ed era il cammino verso il mistero della sua pasqua di passione, morte e risurrezione.
Viene subito da dirci: Quanto ha ragione il Signore! Davvero “nessun profeta è bene accetto in patria”. Gesù risponde al rifiuto dei suoi compaesani, ricordando alcuni casi in cui, nella storia di Israele, un profeta non è stato accolto, e cita proprio il caso di Naaman, il siro, di cui ci ha parlato la prima lettura. Egli venne da lontano e si affidò alla parola del profeta Eliseo, per ottenere la guarigione dalla lebbra. E così lui, straniero riceve guarigione per aver accolto l’invito a lavarsi del profeta Eliseo, quel profeta che invece tanti snobbavano e ignoravano in Israele.
Meditando dobbiamo dirci con disarmante franchezza e coraggio che ancora oggi accade anche a noi qualcosa del genere: crediamo di conoscere le persone, siamo colpiti dalle loro parole ma talvolta ne smorziamo la forza perché le giudichiamo a partire dalla loro vita. Come può il figlio del falegname di Nazareth parlare come un rabbino? Come può presentarsi come un profeta se tutti sanno da dove viene? E i lontani, invece, magari hanno un atteggiamento più disponibile nell’accogliere la Parola del Signore, come fu per Naaman, nonostante le iniziali resistenze.
Carissimi, riflettiamo: quante volte impediamo alle Parole del Signore di giungere al nostro cuore perché ci fermiamo all’apparenza di chi le pronuncia! E, certo, questa affermazione è scomoda: accampiamo mille scuse pur di non ammettere questa disarmante verità. Lasciamoci dunque provocare oggi dal Signore, cogliamo la sua presenza anche quando si nasconde nel volto poco trasparente di chi parla in suo nome, nelle decisioni non condivise di chi ha il compito di dare una direzione al cammino di una comunità parrocchiale o diocesana, in tante situazioni nelle quali un suggerimento di autentico sapore evangelico viene proprio da chi non te l’aspetti e magari non stimi abbastanza!
Se la Parola si fa strada attraverso le nostre parole, senza perdere di efficacia, convertendo i cuori di chi la accoglie con umiltà, allora dobbiamo imparare ad essere tutti più umili e perciò disponibili ad accogliere questa Parola attraverso quei canali che la Parola stessa sceglie per giungere a noi, anche se sono talvolta canali non codificati da un ruolo istituzionale o riconosciuto. Impariamo insomma tutti di più a saperci misurare di più con la sovrana libertà della Parola di Dio di raggiungerci quando vuole, come vuole attraverso chi vuole.
Di certo, soprattutto noi, ministri ordinati, facciamo ben attenzione a non identificarci troppo con coloro che sono gli unici ad aver titolo nell’annunciare la Parola agli altri. Mettiamo nel conto, invece, che talvolta, innanzitutto noi prima ancora che annunciarla, dobbiamo imparare di più a riceverla e ad accoglierla con un cuore disponibile alla conversione.