Letture:
At 15,1-2.22-29
Sal 66
Ap 21,10-14.22-23
Gv 14, 23-29
L’itinerario che ci traccia la Parola di Dio in questa sesta domenica della Pasqua è molto intenso. La prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli ci racconta di un momento un po’ critico che ha vissuto la comunità primitiva. Siamo ormai a circa dieci, quindici anni dopo la morte di Gesù e quindi la Chiesa certo si era in qualche modo stabilizzata soprattutto a Gerusalemme e nelle città della Palestina. Però pian piano la Chiesa si era anche diffusa, per via dell’evangelizzazione degli apostoli anche tra i pagani e si erano formate delle comunità che non erano più tutte di origine ebraica ma erano formate da pagani, con mentalità diverse. Allora inevitabilmente questa convivenza di persone, che venivano da culture diverse, crea qualche problema, tra il gruppo dei fondatori, diciamo così, che erano tutti ebrei e il gruppo di quelli che entravano, che non erano ebrei. Ci furono delle incomprensioni, delle frizioni e qualche volta delle discussioni piuttosto accese. Il tutto confluisce nel primo concilio, il concilio di Gerusalemme, che si è tenuto nel 49 d.C., ed è quello che ci racconta la lettura.
Che cosa era successo? Alcuni dicevano: “Se voi volete diventare cristiani, dovete farvi ebrei, accettare l’ebraismo, dovete entrare nel filone dell’ebraismo”. Altri dicevano: “Ma no, Gesù è venuto per tutti, non è venuto solo per gli ebrei. Gesù è per tutti”. Non a caso noi abbiamo pregato nel salmo responsoriale: “Popoli tutti lodate il Signore”. Allora tutti gli apostoli si radunano insieme, pregano, invocano lo Spirito Santo raggiungono un’intesa, si chiariscono e danno indicazioni: Il vangelo è veramente per tutti e nessuno se ne deve dichiarare padrone. Il vangelo per sua natura è destinato a tutti e nessuno è estraneo alla grazia di Dio perché il Figlio di Dio è morto in croce per tutti. Noi dobbiamo annunciare il Vangelo sempre a tutti, senza fare distinzione, dando così a tutti la possibilità, quando sono nella comunità cristiana, di sentirsi non di troppo, non estranei, ma a casa perché questa è veramente la casa di tutti e di tutti alla stessa maniera.
Poi abbiamo ascoltato il brano dell’Apocalisse in cui c’è questa solenne visione che Giovanni ha della realtà della Chiesa proiettata soprattutto negli ultimi tempi, la nuova Gerusalemme, potremmo dire, la chiesa degli ultimi tempi, il paradiso, la Chiesa della grazia. Ebbene, questa Chiesa si manifesta con delle immagini molto belle ed anche molto significative. Prima di tutto dice, ad esempio, che la Chiesa è posta su dodici basamenti, che sono il segno dei dodici apostoli. Dunque la Chiesa non è una comunità anarchica dove ognuno si alza e vuol fare il direttore d’orchestra, la Chiesa è fondata sugli apostoli e sui loro successori. È un ruolo molto importante e questo è un discorso molto serio, apparentemente banale perché tante volte, parlando con la gente, si sente dire: “Io credo però non condivido quello che dice il Papa, non condivido quello che dice la Chiesa, credo a modo mio”. C’è questo tentativo un po’ di moda di farsi una chiesa “fai da te”. Ebbene, questo non è possibile! Nella Chiesa c’è un ruolo insostituibile che è quello degli apostoli e dei loro successori, i quali hanno questo compito, che è dono, è grazia. Poi si dice ancora, sempre a proposito della Chiesa, che questo edificio misterioso è ricco di porte: a oriente tre porte, a settentrione, tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte. Questa abbondanza di porte sta a significare l’apertura che la Chiesa deve avere verso tutti. E poi ancora: non vidi alcun tempio in esse perché il Signore Dio, l’Onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio. Ecco, noi veniamo qui nel tempio, veniamo a lodare il Signore, ad ascoltare la sua parola ma non è che il Signore sta qui dentro e poi fuori non c’è più. Non è così! Il tempio è soltanto un segno, un luogo dove ci raccogliamo per l’Eucaristia e per ascoltare la Parola ma siamo noi il tempio del Signore, è la vita tempio del Signore, è la storia luogo dove si rende presente il Signore, il luogo dove noi portiamo la presenza del Signore con la nostra vita, per cui la caratteristica della chiesa è che non si chiude, non si isola nel tempio. Guai se facciamo una religione anche bella e perfetta ma chiusa nella quattro mura e poi fuori è la giungla!
Poi ancora: la città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna, non c’è bisogno né della luce del giorno né di quella della notte perché la gloria di Dio la illumina. La sua lampada è l’Agnello, Gesù benedetto, sacrificato, morto e risorto.
E nel brano del vangelo ci sono le parole di addio dette la sera della Cena: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace, non come la dà il mondo ve la do io”, perché quella del mondo non è pace, è soltanto tregua armata, ne abbiamo l’esperienza tristissima in questi giorni. La pace di Cristo è pace che non nasce dalla paura delle armi puntate contro, ma nasce da un cuore nuovo, un cuore pacificato, un cuore dove non c’è rancore, odio, violenza, paura, ma c’è amore totale. Questi discorsi ci sembrano pura teoria, pura follia, invece sono gli unici discorsi possibili attraverso cui il mondo potrà guardare con vera speranza alla vera pace
Preparandoci alla comunione diremo “l’agnello di Dio”, diremo: “Agnello di Dio che togli i peccati del mondo dona a noi la pace”. Chiedere il dono della pace a Cristo, Agnello immolato, è preghiera che ci impegna seriamente ad essere decisamente convinti di dover essere noi i primi operatori di pace, a tutti i livelli.
Che il Signore crocifisso e risorto ci faccia comprendere questo suo messaggio e ci guidi a realizzarlo con tutte le nostre forze.