Cari fratelli e sorelle,
La Veglia di Pentecoste di quest’anno ci vede tutti in cammino nel processo sinodale che, sotto l’impulso del santo Padre Papa Francesco, sta impegnando tutta la Chiesa e tutte le Chiese, e dunque anche la nostra, a compiere insieme la bella esperienza di ascolto dello Spirito e di confronto tra le diverse voci delle comunità cristiane. Vorrei perciò innanzitutto esortare tutti a proseguire con coraggio e determinazione su questa strada, anzitutto valorizzando il potenziale presente nelle parrocchie e nelle varie comunità cristiane. Perciò, facendo eco alle parole del Santo Padre pronunciate l’altro giorno ai referenti diocesani del cammino sinodale, presenti a Roma, insieme ai Vescovi italiani, vorrei rilanciare, in questa santa Veglia Diocesana, alcune consegne.
Innanzitutto la prima consegna: continuiamo a camminare. La vita cristiana è un cammino. Continuiamo a camminare, lasciandoci guidare dallo Spirito. Una Chiesa sinodale è tale perché ha viva consapevolezza di camminare nella storia in compagnia del Risorto, preoccupata non di salvaguardare sé stessa e i propri interessi, ma di servire il Vangelo in stile di gratuità e di cura, coltivando la libertà e la creatività proprie di chi testimonia la lieta notizia dell’amore di Dio rimanendo radicato in ciò che è essenziale. Una Chiesa appesantita dalle strutture, dalla burocrazia, dal formalismo faticherà a camminare nella storia, al passo dello Spirito, rimarrà lì e non potrà camminare incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo.
La seconda consegna è questa: fare Chiesa insieme. La Chiesa è il santo Popolo fedele di Dio e in esso, «in virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro […] è diventato discepolo missionario» (ibid.). Questa consapevolezza deve far crescere sempre più uno stile di corresponsabilità ecclesiale: ogni battezzato è chiamato a partecipare attivamente alla vita e alla missione della Chiesa, a partire dallo specifico della propria vocazione, in relazione con le altre e con gli altri carismi, donati dallo Spirito per il bene di tutti. Abbiamo bisogno di comunità cristiane nelle quali si allarghi lo spazio, dove tutti possano sentirsi a casa, dove le strutture e i mezzi pastorali favoriscano non la creazione di piccoli gruppi, ma la gioia di sentirsi tutti una sola grande famiglia, nella quale si è tutti corresponsabili.
In tal senso, diceva il Papa l’altro giorno, dobbiamo chiedere allo Spirito Santo di farci comprendere e sperimentare innanzitutto noi “come” essere ministri ordinati e “come” esercitare il ministero in questo tempo e in questa Chiesa. Questo vale innanzitutto per noi Vescovi, il cui ministero non può fare a meno di quello dei presbiteri e dei diaconi; e vale anche per gli stessi presbiteri e diaconi, chiamati a esprimere il loro servizio all’interno di un noi più ampio, che è il presbiterio. Ma questo vale anche per l’intera comunità dei battezzati, nella quale ciascuno cammina con altri fratelli e altre sorelle alla scuola dell’unico Vangelo e nella luce dello Spirito.
La terza consegna: essere una Chiesa aperta. Riscoprirsi corresponsabili nella Chiesa non equivale a mettere in atto logiche mondane di distribuzione dei poteri, ma significa coltivare il desiderio di riconoscere l’altro nella ricchezza dei suoi carismi e della sua singolarità. Così, possono trovare posto quanti ancora faticano a vedere riconosciuta la loro presenza nella Chiesa, quanti non hanno voce, coloro le cui voci sono coperte se non zittite o ignorate, coloro che si sentono inadeguati, magari perché hanno percorsi di vita difficili o complessi. Ricordiamocelo sempre: la Chiesa deve lasciar trasparire il cuore di Dio: un cuore aperto a tutti e per tutti. Non dimentichiamo per favore la parabola di Gesù della festa di nozze fallita, quando quel signore, non essendo venuti gli invitati, cosa dice? “Andate agli incroci delle strade e chiamate tutti” (cfr Mt 22,9). Tutti: malati, non malati, giusti, peccatori, tutti, tutti dentro.
Dovremmo domandarci quanto facciamo spazio a tutti e quanto ascoltiamo realmente nelle nostre comunità le voci dei giovani, delle donne, dei poveri, di coloro che sono delusi, di chi nella vita è stato ferito ed è arrabbiato con la Chiesa. Fino a quando la loro presenza resterà una nota sporadica nel complesso della vita ecclesiale, la Chiesa non sarà sinodale, sarà una Chiesa di pochi.
A volte si ha l’impressione che le comunità religiose, le parrocchie siano ancora un po’ troppo autoreferenziali. E l’autoreferenzialità è un po’ la teologia dello specchio: guardarsi allo specchio, la mia parrocchia, la mia classe, il mio gruppo, la mia associazione… Sembra che si insinui, un po’ nascostamente, una sorta di “neoclericalismo di difesa” – il clericalismo è una perversione, e il vescovo, il prete clericale è perverso, ma il laico e la laica clericale lo è ancora di più: quando il clericalismo entra nei laici è terribile! –: il neoclericalismo di difesa generato da un atteggiamento timoroso, dalla lamentela per un mondo che “non ci capisce più”, dove “i giovani sono perduti”, dal bisogno di ribadire e far sentire la propria influenza.
Il Sinodo ci chiama a diventare una Chiesa che cammina con gioia, con umiltà e con creatività dentro questo nostro tempo, nella consapevolezza che siamo tutti vulnerabili e abbiamo bisogno gli uni degli altri. Sarebbe davvero bello che in un percorso sinodale si prendesse sul serio questa parola “vulnerabilità” e si parlasse di questo, con senso di comunità, sulla vulnerabilità della Chiesa. E aggiungo: camminare cercando di generare vita, di moltiplicare la gioia, di non spegnere i fuochi che lo Spirito accende nei cuori. Siamo inviati non per spegnere, ma ad accendere i cuori dei nostri fratelli e sorelle, e a lasciarci rischiarare a nostra volta dai bagliori delle loro coscienze che cercano la verità.
Ed ecco l’ultima consegna che ci lascia il Papa: essere una Chiesa “inquieta” nelle inquietudini del nostro tempo. Siamo chiamati a raccogliere le inquietudini della storia e a lasciarcene interrogare, a portarle davanti a Dio, a immergerle nella Pasqua di Cristo. Il grande nemico di questo cammino è la paura: la comunità cristiana è provocata a uscire dai pregiudizi, a mettersi in ricerca di coloro che cercano sinceramente il senso della loro esistenza, del loro soffrire. Solo così la Chiesa accoglie le sfide del nostro tempo, ed esce davvero verso tutti per annunciare la gioia del Vangelo.
Cari fratelli e sorelle, proseguiamo insieme questo percorso, con grande fiducia nell’opera che lo Spirito Santo va realizzando. È Lui il protagonista del processo sinodale, Lui, non noi! È Lui che apre i singoli e le comunità all’ascolto; è Lui che rende autentico e fecondo il dialogo; è Lui che illumina il discernimento; è Lui che orienta le scelte e le decisioni. È Lui soprattutto che crea l’armonia, la comunione nella Chiesa. Così definisce San Basilio: Lui è l’armonia.
Il Signore benedica il nostro cammino. Lo Spirito lo riempia di senso e la Madonna ci accompagni. AMEN!