OMELIA
Natale del Signore – Messa del Giorno
Andria, 25 dicembre 2021
Letture:
Is 52,7-10
Sal 97
Eb 1,1-6
Gv 1,1-18
Carissimi fratelli e sorelle,
ora siamo chiamati alla riflessione, dopo che abbiamo ascoltato la parola del Signore. È Natale, un giorno particolarissimo, un giorno che a volte soffre un po’ per tante sovrapposizioni che ci fanno perdere di vista l’essenziale: le sovrapposizioni della tradizione, pur belle, gradevoli, romantiche ma purtroppo a volte un po’ eccessive, le sovrapposizioni del consumismo, dei riti, dei divertimenti e allora tutto questo contorno ci prende la mente e il cuore, ci prende anche il tempo, per cui va a finire che tutto facciamo fuorché cogliere il senso di questa festa nella nostra vita. Ecco che allora le letture che abbiamo ascoltato ci aiutano invece in un’opera di recupero, proprio perché non accada che la giornata del natale passi senza lasciare nulla nel nostro cuore.
Mi soffermerei su una brevissima riflessione che cogliamo dal Vangelo, abbiamo letto il prologo, una poesia lunga con la quale inizia il Vangelo di Giovanni: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Questo è un inno a Gesù, un inno natalizio perché si canta e si glorifica proprio l’avvenimento che stiamo celebrando; la parola di Dio che esiste da sempre presso Dio ad un certo punto, a un ora precisa della storia umana, si fa carne; infatti così diceva l’inno: “e il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi”.
La Parola di Dio si è fatta carne: questo è il Natale, il mistero della grandezza, della immensità di Dio che si rimpicciolisce in un bimbo deposto in una mangiatoia. Il testo dice: “il Verbo di Dio si è fatto carne”, una parola un po’ strana, forse si poteva dire: “Il Verbo di Dio si è fatto uomo” e andava pure bene. Invece il testo usa questa parola rude: il Verbo si è fatto carne. Che cosa vuol dire? La parola carne, nel suo originale greco vuol dire l’uomo inteso nella sua fragilità, nella sua povertà, nel suo limite; lo diciamo anche noi tante volte quando con una espressione popolare diciamo: “Siamo fatti di carne e ossa”. È lo stesso concetto: Dio si è fatto carne e ossa. L’umanità di Dio non è un’umanità apparente, non è una scena che Dio ha fatto quando è venuto in questo mondo, non è apparso, ma si è fatto, è diventato carne. Dio si è fatto uomo, cioè Dio ha provato, ha assunto, ha fatto sua la nostra umanità e quindi possiamo dire a pieno titolo: Dio è uno di noi; e non è un modo di dire, ma è proprio così.
Questo è Natale: Dio è uno di noi, Dio che viene ad abitare in mezzo a noi, Dio che diviene cittadino dell’umanità e non un cittadino onorario, un cittadino come tutti gli altri che vive la vicenda umana tutta intera con le sue gioie e con i suoi dolori, con i suoi successi e con i suoi insuccessi, le sue fragilità e questa fragilità di Dio comincia proprio dalla nascita a Betlemme.
Che mistero è questo, ci pensiamo? Dio, che viene nell’umanità, che viene a farsi uomo, non sceglie i palazzi dei potenti, dei sapienti, non scegli luoghi e modi ricchi di stravaganza e di potenza. No! Dio sceglie uno sperduto villaggio della Giudea: Betlemme. Dio sceglie di venire di notte, nel silenzio e nessuno si accorge di niente: gli angeli portano la notizia ai pastori, i pastori vanno perché sono stati chiamati dagli angeli, altrimenti nemmeno loro che stavano a due passi avrebbero saputo nulla. Dunque oggi vediamo proprio questo abbassamento di Dio, Dio si è fatto come noi.
Ma perché tutto questo? Perché Dio si è fatto come noi? Che motivo c’era? Dio si è fatto come noi – recita un antico inno di origine patristica – Dio si è fatto come noi per farci come Lui. Vi ricordate di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre? Volevano essere come Dio e si ribellarono a Lui. Ma Dio allora, da quel momento in poi ha avuto un solo sogno, quello di farci come Lui. Dio diceva ad Adamo: “Perché vi accanite a diventare divini da soli? Non ce la fate. Vi faccio io come me, non vi preoccupate, vi rendo io divini, fidatevi, però. Lasciatevi illuminare, lasciatevi guidare. Io voglio quello che volete voi, volgiamo la stessa cosa. Soltanto che voi volete farlo da soli, io invece ve lo voglio regalare”. Noi ci accaniamo verso Dio e diciamo “Lasciaci in pace! Noi siamo grandi, siamo emancipati, ce la vediamo noi”.
Ormai la scienza, la cultura, il denaro, il benessere ci stanno facendo talmente emancipare da Dio che noi ci convinciamo sempre di più che non abbiamo bisogno di Lui, che stiamo bene anche senza. Non è vero, non è così! Nello scorre della storia si tocca con mano il fallimento dell’uomo che vuole fare senza Dio. Ecco dunque il Natale. Dio che dice all’uomo: “Vengo io, testone! Non ti preoccupare, vengo io a farti grande”.
Allora il nostro far Natale in che consiste? Accogliere questo messaggio e portarlo nel cuore, smetterla di crederci grandi, sapienti, onnipotenti e cominciare a diventare piccoli, perché se diventiamo piccoli, se riconosciamo quello che siamo, allora possiamo accogliere la grandezza di Dio. E questi mesi di pandemia ci rivelano ancora una volta quanto sia vero tutto questo! Ma se continuiamo testardamente a fare i grandi, a sceneggiare questa impossibile grandezza, siamo destinati a non capire, ancora una volta, proprio niente del mistero del Natale, nonostante tutta la scena che ci circonda che è molto tenera, molto dolce, è molto bella, induce buoni sentimenti ma che poi alla fine non si capisce perché dobbiamo essere buoni il 25 e il 26 già ci possiamo permettere di tornare ad essere cattivi. È troppo stupido tutto questo, non vi pare? È troppo banale!
Qui c’è un avvenimento di cui prendere coscienza: Dio è con noi, è nella nostra storia e dunque dobbiamo fare i conti con questa presenza, se vogliamo veramente essere grandi. Dio si è fatto come noi per farci come Lui: tutto qui è il Natale.