Letture:
1Pt 2,20-25
Sal 68
Gv 19,1-11
Carissimi fratelli e sorelle,
Carissimi confratelli,
nel mentre oggi finalmente, dopo la sospensione a causa del covid durata alcuni anni, stiamo provando, come comunità ecclesiale cittadina, a mettere tutti insieme, i primi passi del cammino quaresimale, la Parola di Dio e la reliquia della Sacra Spina a noi così tanto cara, ci suggeriscono riflessioni davvero preziose.
Innanzitutto ci accostiamo alla prima lettura, tratta dalla prima lettera dell’apostolo Pietro. Il primo Papa della Cristianità, chiede a noi cristiani di questo tempo, di riflettere seriamente sul fatto che il nostro mondo, se pure conserva tanti simboli e tradizioni cristiane, come questa che stiamo vivendo noi insieme stasera, si caratterizza sempre più come un mondo in cui si diffonde una visione della vita in cui il vangelo è di fatto assente. Il patrimonio della fede cristiana che abbiamo ereditato dalle generazioni che ci hanno preceduto, è di fatto completamente sconosciuto a tanti, soprattutto giovani, talvolta osteggiato e irriso. E questo oggi ancor di più ci chiede di prendere coscienza della nostra vocazione: essere Popolo di Dio che con gioia e fedeltà segue e testimonia la via del vangelo.
L’apostolo Pietro ci ha ricordato oggi che noi siamo chiamati innanzitutto a questo: accettare con pazienza la sofferenza che viene dal fatto che abbiamo scelto e torniamo a scegliere ogni giorno di fare e testimoniare il bene, anche se di fatto non ci riusciamo sempre. E ci presenta Gesù con il suo esempio di vita: Ci ha detto san Pietro: Egli non commise peccato, non si trovò inganno sulla sua bocca, oltraggiato non rispondeva con oltraggi e, soffrendo, non minacciava vendetta. Ecco, come Gesù, seguendo il suo esempio, ogni giorno da capo, scegliamo di fare il bene, per scelta di vita, per fedeltà all’impegno preso, per coerenza con quello che diciamo di essere. Facciamo il bene, cari fratelli e sorelle, sempre, soprattutto per sconfiggere le trame del male che in tante forme si espande e provoca dolore e sofferenza a tanti uomini e donne, talvolta perfino all’interno delle nostre comunità.
Ma comprendiamo subito che “fare il bene” è una espressione così generica che alla fine può voler dire tutto e dire niente: Ed ecco allora che ci viene incontro il brano del vangelo che ci è stato proclamato, tratto dal testo dell’evangelista Giovanni. Ci sono state raccontate alcune fasi della passione di Gesù, in particolare il processo subìto dal Signore davanti a Pilato. Il quadro che ci viene presentato è quello di Gesù che dopo aver fatto solo e sempre bene a tutti, dopo che uno dei suoi, Giuda, lo aveva consegnato alle autorità, vendendolo per trenta denari, viene condotto dalla folla al giudizio di Pilato, Sì, aveva fatto solo bene, tanto bene: malati guariti da ogni sorta di infermità, morti richiamati in vita, folle sfamate con abbondanza… eppure in quel processo-farsa davanti a Pilato la folla chiedeva la sua morte, addirittura preferendolo a Barabba, un criminale riconosciuto da tutti come tale.
E l’accusa riguardava il fatto che si era dichiarato “Figlio di Dio”. E allora, visto che si proclamava re, ecco che come tutti i re che si rispettano, a sfregio viene incoronato. Ma non si trattava di una corona d’oro, bensì in una corona di spine. E le spine, pungono, fanno male, fanno sanguinare. Comprendiamo allora il senso dell’esortazione che ci ha fatto san Pietro: Siete chiamati a sopportare con pazienza la sofferenza facendo il bene. E lui stesso, Gesù ci fa vedere come si fa.
Carissimi, un disegno misterioso della provvidenza ha voluto che una spina di quella corona giungesse per le vie più impensate a diventare vero gioiello che rende preziosa la nostra chiesa. Diciamoci perciò che noi tutti, come Chiesa di Andria, abbiamo una precisa vocazione particolare: quella di mostrare come si fa ad accettare la sofferenza facendo il bene e non inseguendo fatui sogni di grandezza e di gloria. La Sacra Spina, dicevo, è davvero un gioiello, del quale tutti mentre siamo fieri ed orgogliosi, ci riteniamo fortunati custodi. Ma non possiamo e non dobbiamo dimenticare nemmeno per un attimo che più che una fortuna, si tratta di una vocazione e perciò di una consegna, un impegno preciso quello che Gesù ha fatto e fa alla nostra chiesa. Sì, il Signore ci chiama a saper soffrire, operando il bene.
Sì, la nostra chiesa, la nostra città ha bisogno di cristiani, a cominciare da noi, ministri ordinati, che scelgono di fare il bene, in tutte le sue modulazioni e le sue forme, sempre, senza “se” e senza “ma”. Pronti sempre a misurarci con la sofferenza che viene dall’aver fatto la scelta del bene, la scelta di servire la nostra gente, giorno dopo giorno, rinunciando a tutto ciò che ci distrae o insegue mire di soddisfazioni personali, perfino quelle spirituali. Se ci dobbiamo fare santi, cari fratelli e confratelli, dobbiamo farlo servendo e soffrendo per la nostra gente prima ancora che inseguendo devozioni o peggio interessi o gusti personali di una spiritualità intimistica. E questo senza farci nemmeno sfiorare da rimpianti e pentimenti. Gesù non ha ragionato così, è andato fino in fondo nel dono di sé, accettando in pieno il destino della croce, del dolore.
Mi permetto poi, alla luce di questi pensieri, di suggerire a tutti, a cominciare da noi ministri sacri, di praticare in questa quaresima la visita ai nostri fratelli infermi, facendo sentire a quanti sono sulla croce del dolore, la vicinanza dell’intera comunità di fede.
Sì, occorre ricordarcelo, la scelta del bene ci è chiesta come segno di fedeltà alla nostra identità cristiana. Siamo cristiani non perché siamo fedeli alle tradizioni e alle usanze che da secoli si vivono nella nostra città. Siamo cristiani perché come Cristo abbiamo scelto di dedicarci, spendendoci con dedizione fino al sacrificio, a sconfiggere il male in tutte le sue forme, quel male che distrugge l’uomo e lo rende infelice. E questo, ben sapendo che tale scelta di vita ci consegna a sopportare fatica, rinunzie, mortificazioni, sofferenze, umiliazioni, incomprensioni. E ricordiamo ancora che se scegliamo di fare il bene sempre non è perché ci aspettiamo vittorie, successi e riconoscimenti, ma perché vogliamo veramente gloriarci del nome cristiano, e andare fino in fondo, senza rimpianti e patteggiamenti col male che si manifesta in mille forme e si rigenera sempre in forme inedite, per cui occorre sempre stare in guardia.
Perciò, carissimi, coltiviamo tutti con grande intensità il desiderio e direi il sogno che noi, come cristianità della città di Andria, ministri ordinati e popolo insieme, mentre ci identifichiamo come Popolo della Sacra Spina, ci mettiamo in gioco e ci impegniamo in pieno per la vittoria del bene, che poi è la vittoria dell’amore.
Amen!