Letture:
Is 50,4-7
Sal 21
Fil 2,6-11
Mt 26,14-27,66
Poche parole di commento oggi, il racconto della passione di Gesù parla da sé; solo qualche minuto per cogliere alcuni spunti per la riflessione. Vorrei accostarmi con voi a questo racconto con una attenzione particolare ai discepoli. Lasciamo stare Pilato che, da buon politico – si fa per dire – si lava le mani e manda così Gesù a morire. Lasciamo stare la folla che, inferocita e aizzata, chiede senza ragione la morte di Gesù. Si sa che quando la folla si inferocisce diventa crudele. Lasciamo stare i soldati che scatenano contro Gesù, che tutti sapevano essere uomo giusto, una violenza inaudita, torture terribili: la coronazione di spine, la flagellazione, la crocifissione con i chiodi, e poi gli insulti, gli sputi… nemmeno a un cane si sputa!
Ma – dicevo – parliamo dei discepoli. Nella prima parte del racconto sono loro, siamo noi, i discepoli, sulla scena. Vien subito da dire: che figura! I discepoli, di fronte al triste annuncio di Gesù: “Uno di voi mi tradirà”, gli chiedevano: “Sono forse io?”. Per chiederlo vuol dire che tutti ritenevano assolutamente possibile tradire il Maestro. Non ci liberiamo troppo facilmente di questa domanda: “Sono forse io?”. E poi Giuda, uno dei discepoli…Giova allora ricordare che la tragedia di Gesù non è cominciata fuori, tra i lontani, tra i nemici… No! Tutto è cominciato nel cenacolo, nella Chiesa! Smettiamo dunque di fare i sapienti; noi siamo i traditori di Gesù. Pensiamo a Pietro, il capo dei dodici. Dopo il tradimento di Giuda, Pietro voleva fare il forte, il bravo davanti a Gesù: “Anche se dovessi morire, io non ti lascerò mai…”. “No, Pietro, – gli dice Gesù – anche tu, stanotte stesso, mi rinnegherai tre volte!”.
È come se Gesù dicesse a Pietro e a noi oggi: “Non giudicate Giuda! Pensate a voi!”. Ed era Pietro, il capo… è tutto dire: questa è la Chiesa, non ci illudiamo. Non giudichiamo, non condanniamo, non critichiamo nessuno! Guardiamoci noi! E poi, ancora, quando Gesù chiede compagnia, nel momento della sua triste preghiera nell’orto degli ulivi, i discepoli, ancora una volta, mancano all’appuntamento con la storia del dolore: andò e li trovò che dormivano. Gesù è solo perché i discepoli dormono.
Non dormiamo, fratelli, stiamo svegli, attenti a percepire tutti i segnali, anche quelli deboli e flebili, del dolore e della sofferenza. Scuotiamoci dagli addormentamenti: l’egoismo e il piacere sono l’anestesia della coscienza. E poi, la Chiesa, i discepoli si lasciano facilmente tentare dalla violenza. “No! – dice Gesù a Pietro – Rimetti la spada nel fodero!”. Non è con la spada che si vince il male, ma pagando di persona, prendendo su di sé ed espiando. Giuda tradisce, Pietro rinnega, tutti a un certo punto spariscono. Una frase chiude la loro presenza sulla scena del dolore: “E i discepoli fuggirono via tutti, lasciandolo solo”. Sembra una condanna senza appello; non lo è, ma certo è una frase forte, cruda che ci fa vergognare. Noi, come discepoli, nel dramma del dolore e del peccato, non siamo spettatori, magari tristi e commossi, siamo parte in causa. L’unica cosa da fare, perciò, è chiedere perdono.