OMELIA
V domenica di Quaresima
Andria, Santuario SS. Salvatore, 29 marzo 2020
__________________
Cari fratelli e sorelle,
Per cominciare la nostra riflessione oggi, accostiamoci anche noi come i Giudei, quel giorno, alla tomba di Lazzaro, non tanto per assistere ad uno spettacolo, quanto per riflettere sul significato di quello che accade nel momento in cui quella tomba si apre. Il racconto del Vangelo è ben preparato dalla prima lettura, del profeta Ezechiele, che già ci fa intravedere: “Ecco – dice il Signore Dio – io apro i vostri sepolcri, vi resuscito dalle vostre tombe, o popolo d’Israele, o popolo mio e vi conduco nel paese d’Israele”. Questa promessa si riferisce a un momento particolare del popolo di Dio, che era in esilio e quindi ormai disorientato, era allo sbando senza quasi più essere popolo. Si erano scoraggiati e pensavano: “Ormai Dio ci ha abbandonati, ci ha dimenticati. È finita!”. E invece arriva il profeta con questa parola incoraggiante: “Popolo mio io apro i vostri sepolcri, vi resuscito dalle vostre tombe”. Passarono un po’ di anni e quel popolo tornò nella sua terra.
Proponendoci questa lettura, la Chiesa ci vuol farci quasi immedesimare con quel popolo d’Israele che spesso viveva momenti di sconfitta, di abbattimento sul piano umano, momenti nei quali sembrava vedere Dio lontano, distante, addirittura disinteressato della sorte dei suoi figli. Quante volte anche noi pensiamo questo? Soprattutto nei momenti in cui vediamo la nostra storia attraversare, come sta accadendo ora, pagine tristissime, contraddittorie, difficili
E invece il Signore oggi ci ha detto: “Popolo mio, non ti scoraggiare! Non pensare che io ti abbia abbandonato. Certo, stai vivendo momenti tristi, ma questo succede anche perché vivi nel peccato”. Il male non piove dal cielo! Il male è frutto del peccato dell’uomo, a tanti livelli: a livello personale, sociale, familiare, istituzionale. Ma Dio oggi ci ha detto ancora una volta: “Io apro i vostri sepolcri”.
Ascoltiamo questa parola e prendiamo respiro, riprendiamo speranza. Questa lettura ci ha preparati all’ascolto del racconto del Vangelo in cui davvero – non è un modo di dire, non è una metafora – davvero c’è una tomba che si apre ed è quella di Lazzaro. Il racconto evangelico ci ha ricordato che Marta e Maria, vedendo il loro fratello Lazzaro molto malato, mandano a chiamare Gesù, che era un amico caro di famiglia. Gesù all’inizio sembra quasi disinteressato. Poi però passano alcuni giorni e ci va. Ma quando arriva, Lazzaro è morto ed è già da quattro giorni nel sepolcro.
Questo elemento dei quattro giorni è importante perché quattro giorni significa che non è una morte apparente: Lazzaro era morto davvero, Lazzaro era morto! Ebbene, Gesù intervenendo su Lazzaro mostra di essere il Signore, il padrone della vita.
Quando arriva Gesù, Marta in un primo momento, amabilmente, lo rimprovera: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”, Gesù chiede di essere portato alla tomba del suo amico e lì scoppia a piangere! Gesù non si vergogna di piangere, è molto bello quest’aspetto della sua umanità. Gesù ci appare davvero un uomo che coltiva l’amicizia, un uomo che piange per la perdita dell’amico.
Gesù sa com’è il nostro cuore, Lui lo sa che cosa abbiamo dentro, lo sa come siamo fatti e nessuno come Lui ci può capire. Ebbene Gesù scoppia a piangere, poi ordina: “Togliete la pietra!”. I presenti forse pensavano che Gesù volesse vedere questo amico morto, non essendo riuscito a vederlo prima; non potevano mai immaginare quello che stava per accadere. “Togliete la pietra!”. Marta, la sorella di Lazzaro prova a resiste a questa parola di Gesù “Signore, ma è di quattro giorni, manda cattivo odore! Ma Gesù insiste e quando la tomba fu aperta gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. Gesù chiama Lazzaro non dal sepolcro, ma dalla morte. Lazzaro era morto da quattro giorni: il morto uscì. Gesù dà poi un secondo ordine; a Lazzaro aveva detto: “Vieni fuori!”, agli altri dice: “Scioglietelo e lasciatelo andare!”. Vedete, il Signore a volte ci chiama alla vita, però noi non ce ne accorgiamo, siamo legati dagli altri, dai giudizi degli altri, dalle abitudini, dagli schemi, dai sospetti, dalle consuetudini, da quello che dice la gente e a volte ne siamo davvero imprigionati.
Gesù a noi, come a Lazzaro, dà questo duplice comando, a noi come a Lazzaro: “Vieni fuori! Fatti coraggio, esci allo scoperto, vieni alla vita, vieni all’amore!”, poi ancora: “Scioglietelo e lasciatelo andare!”. Quanti nostri fratelli, se pur chiamati alla vita da Gesù, non riescono a venir fuori perché legati da noi, dalle nostre cattiverie, dai nostri pregiudizi. “scioglietelo”, dice Gesù.
Accogliamo, cari fratelli, questo duplice comando: veniamo fuori dalla nostra situazione di morte e di peccato, ma liberiamo anche gli altri, sciogliamo le catene inique che gettiamo sugli altri, sciogliamo i nostri sospetti, i nostri pregiudizi che a volte impediscono a ciascuno di noi di vivere come Dio vuole che viviamo. A volte noi viviamo da morti nella fede, non perché lo vogliamo essere, ma perché non riusciamo a scioglierci dagli schemi che ci mettiamo addosso gli uni gli altri. Ecco allora la parola di Gesù: “Scioglietelo e lasciatelo andare!”. Chissà quanta gente è incatenata per colpa nostra! Gente che non riesce a liberarsi perché noi non lo vogliamo. Continuiamo a tenere gli altri nelle catene del bisogno, della povertà, nelle catene del pregiudizio ecc. ecc.
È molto importante per noi oggi accogliere questo comando di Gesù, nell’andare all’altare. Ma dall’altare, dall’Eucaristia giunge a noi questa parola del Signore; accogliamola: “Vieni fuori Lazzaro! Vieni a vivere nell’amore, ma libera anche i tuoi fratelli perché possano vivere anch’essi nell’amore!”. La nostra sorte è sempre legata alla sorte dei nostri fratelli, mai e poi mai noi ci possiamo salvare da soli, dimenticando qualcuno che accanto a noi non riesce a farlo perché lasciato solo.
Che sia così per noi tutti, cari fratelli!