Messa del giorno di Natale

25-12-2020

OMELIA
Messa del giorno di Natale
Andria, 25 dicembre 2020
Letture:
Is 52,7-10
Sal 97
Eb 1,1-6
Gv 1,1-18

È la sera di Natale, di un giorno particolarissimo, un giorno che a volte soffre un po’ per tante sovrapposizioni che ci fanno perdere di vista l’essenziale: le tradizioni, pur belle, gradevoli, romantiche ma purtroppo a volte un po’ eccessive, le sovrapposizioni del consumismo, e può succedere che non riusciamo a cogliere il senso di questa festa per la nostra vita. Quest’anno, in verità, tutto questo è stato in tono minore, per via del virus. Lo ha notato anche il Papa dicendo che questa sobrietà esteriore può essere una occasione per recuperare il senso vero del Natale. Le letture che abbiamo ascoltato ci aiutano così in un’opera di recupero, siamo a fine giornata, ma sempre in tempo per evitare che il Natale passi e non lasci nulla nel nostro cuore.
Mi soffermerei su una brevissima riflessione che cogliamo dal Vangelo, abbiamo letto il prologo, una poesia lunga con la quale inizia il Vangelo di Giovanni: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”.  Questo è un inno a Gesù, un inno natalizio perché canta e glorifica proprio l’avvenimento che stiamo celebrando: la parola di Dio che esiste da sempre presso Dio ad un certo punto, a un’ora precisa della storia umana, si fa carne, si fa come noi, anzi, si fa uno di noi. Infatti così diceva l’inno: “e il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi”.
La parola di Dio si è fatta carne: questo è il Natale, il mistero della grandezza, della immensità di Dio che si rimpicciolisce in un bimbo in una grotta. Il testo dice: “il Verbo di Dio si è fatto carne”, una parola un po’ strana, forse si poteva dire: “Il Verbo di Dio si è fatto uomo” e andava pure bene lo stesso. Invece no, il testo usa questa parola rude: il Verbo si è fatto carne. Che cosa vuol dire?
La parola carne, nel suo originale greco vuol dire l’uomo inteso nella sua fragilità, nella sua povertà, nel suo limite; lo diciamo anche noi tante volte quando con una espressione popolare diciamo: “Siamo fatti di carne e ossa”. Ecco, Dio si è fatto carne e ossa, come noi. Cioè, quella di Dio non è un’umanità apparente, non è una scena che Dio ha fatto quando è venuto in questo mondo, non è apparso, ma si è fatto, è diventato carne. Dio si è fatto uomo, proprio come lo siamo noi.  Perciò possiamo dire a pieno titolo: Dio è uno di noi; e non è un modo di dire, ma è proprio così.
Questo è Natale: Dio è uno di noi, Dio che viene ad abitare in mezzo a noi, che diviene cittadino dell’umanità e non un cittadino onorario, che gode di privilegi e corsie preferenziali, no, un cittadino come tutti gli altri che vive la vicenda umana tutta intera con le sue gioie e con i suoi dolori, con i suoi successi e con i suoi insuccessi, le sue fragilità e questa fragilità di Dio comincia proprio dalla nascita a Betlemme.
Che mistero è questo, ci pensiamo? Dio, che viene nell’umanità, che viene a farsi uomo, non sceglie i palazzi dei potenti, dei sapienti, non scegli luoghi e modi ricchi di stravaganza e di potenza. No. Dio sceglie uno sperduto villaggio della Galilea, della Giudea: Betlemme. Dio sceglie di venire di notte, nel silenzio e nessuno si accorge di niente: i pastori intanto vanno perché chiamati dagli angeli, altrimenti nemmeno loro che stavano a due passi avrebbero saputo nulla. Dunque nel Natale vediamo proprio questo abbassamento di Dio, Dio si è fatto come noi.
Perché tutto questo? Perché Dio si è fatto come noi? Che motivo c’era? Dio si è fatto come noi – recita un antico inno di origine patristica – Dio si è fatto come noi per farci come Lui. Vi ricordate di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre? Volevano essere come Dio e si ribellarono a Lui e Dio allora, da quel momento in poi ha avuto un solo sogno, quello di farci come Lui. Dio diceva ad Adamo: “Perché vi accanite a diventare divini da soli? Non ce la fate. Vi faccio io come me, non vi preoccupate, vi rendo io divini, fidatevi, però. Lasciatevi illuminare, lasciatevi guidare. Io voglio quello che volete voi, volgiamo la stessa cosa. Soltanto che voi volete farlo da soli, io invece ve lo voglio regalare”.
Ormai la scienza, la cultura, il denaro, il benessere ci stanno facendo talmente   emancipare da Dio che noi ci convinciamo sempre di più che non abbiamo bisogno di Lui, che stiamo bene anche senza. Non è vero, non è così! Nello scorre della storia si tocca con mano il fallimento dell’uomo che vuole fare senza Dio. Ecco il Natale. Dio che dice all’uomo: “Vengo io, Non ti preoccupare, vengo io a farti grande”.
Allora il nostro far Natale in che consiste? Accogliere questo messaggio e portarlo nel cuore, smetterla di crederci grandi, sapienti, onnipotenti e cominciare a diventare piccoli, perché se riconosciamo quello che siamo, allora possiamo accogliere la grandezza di Dio.
Ma se continuiamo testardamente a fare i grandi, a sceneggiare questa impossibile grandezza, siamo destinati a non capire, ancora una volta, proprio niente del mistero del Natale, nonostante tutta la scena che ci circonda che è molto tenera, molto dolce, induce perfino buoni sentimenti ma che poi alla fine non si capisce perché dobbiamo essere buoni il 25 e il 26 già ci possiamo permettere di tornare ad essere cattivi.
È troppo stupido tutto questo, non vi pare? È troppo banale! Qui c’è un avvenimento di cui prendere coscienza: Dio è con noi, è nella nostra storia e dunque dobbiamo fare i conti con questa presenza, se vogliamo veramente essere grandi. Dio si è fatto come noi per farci come Lui: tutto qui è il Natale.
Questo è l’augurio che con vero cuore porgo a tutti, vicini e lontani! AMEN!