OMELIA
IV DOMENICA DI PASQUA
Andria, Basilica Santa Maria dei Miracoli, 3 maggio 2020
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Domina in questa IV domenica di Pasqua la figura di Gesù Pastore. E dobbiamo dirci subito che il Signore ha avuto non poco coraggio ad attribuire a sé questo titolo che, nella spiritualità ebraica apparteneva in modo tutto particolare a Dio. Come non ricordare i tanti salmi con cui si pregava e si prega tuttora, cito uno fra tutti, forse quello più conosciuto, il salmo 22: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla…”. Gesù, appropriandosi di questo titolo rivela sé stesso non come un semplice profeta, ma come il Figlio di Dio, Dio come il Padre. Per questo motivo i suoi ascoltatori rimasero piuttosto confusi dinanzi alle sue parole e forse non le compresero in pieno.
Noi, fortunatamente, oggi siamo talmente abituati a pensare a Gesù con questo titolo che forse ci sfugge la sua forza evocativa. Per gli Ebrei Dio era il Pastore del suo popolo perché se ne era preso cura lungo il cammino di liberazione dalla schiavitù alla terra promessa. Gesù parlando di sé in questo modo ci vuole semplicemente dire che Lui è il nostro salvatore, è colui che dà senso, dà una direzione, dà una meta alla nostra esistenza terrena ed è la vita eterna e lui ci conduce, camminando avanti a noi.
E Gesù, descrivendo alcune caratteristiche della vita del pastore, parla fin troppo chiaramente di sé: “Chi entra dalla porta è pastore delle pecore…le pecore ascoltano la sua voce…egli chiama le sue pecore ciascuna per nome e le conduce fuori”.
Questo passaggio del vangelo di oggi, carissimi, lo dovremmo sentire come un messaggio di infinita consolazione e speranza. Gesù, pastore delle nostre anime conosce e chiama ciascuno per nome. Questo vuol dire che per Gesù noi non siamo gregge anonimo, lui ci chiama e ci conosce “per nome”, uno per uno. E per questo lui vuole entrare in relazione con noi in maniera personale, intima, non generica e perciò frustrante.
Concludendo il brano di oggi lui ci ha detto: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Questa è certamente una delle parole più belle e consolanti di tutto il vangelo. Anzi, è la parola che davvero ci seduce e ci rigenera ogni volta che l’ascoltiamo. Pensate: Lui ci dà la vita, ma non solo una vita certo necessaria ma una vita piena, abbondante, potente, esuberante, magnifica, eccessiva…gli aggettivi non bastano. Una vita che rompe gli argini e tracima e feconda in abbondanza, uno spreco che profuma di amore, di libertà e di coraggio.
Così è Dio: manna non per un giorno ma per quarant’anni nel deserto, pane per cinquemila persone, pelle di primavera per dieci lebbrosi, pietra rotolata via per Lazzaro, cento fratelli per chi ha lasciato la casa, perdono per settanta volte sette, vaso di nardo per 300 denari. Insomma, davvero il Vangelo contiene la risposta alla fame di vita che tutti ci portiamo dentro e che ci incalza.
«Gesù non è venuto a portare una teoria religiosa, un sistema di pensiero. Ci ha comunicato vita ed ha creato in noi l’anelito verso più grande vita» (G. Vannucci).
E allora ecco che nel brano di oggi ci viene ricordato che il primo gesto che caratterizza il pastore vero, datore di vita, è quello di entrare nel recinto delle pecore, chiamare ciascuna per nome e poi di condurle fuori, condurle a libertà piena e definitiva.
Gesù porta le sue pecore fuori da ogni recinto, dai luoghi che danno sicurezza ma che al tempo stesso tolgono libertà. Non le porta da un recinto ad un altro, dalle istituzioni del vecchio Israele a nuovi schemi migliori. No, egli è il pastore degli spazi aperti. Quello che lui avvia è un processo di liberazione interminabile, una immensa migrazione verso la vita. Per due volte assicura: “io sono la porta”, la soglia sempre spalancata, che nessuno richiuderà più, più forte di tutte le prigioni (entrerà e uscirà e troverà…), accesso a una terra dove scorrono latte e miele, latte di giustizia e innocenza, miele di libertà. Più vita.
La seconda caratteristica del pastore autentico è quella di camminare davanti alle pecore. Non abbiamo un pastore di retroguardie, ma una guida che apre cammini e inventa strade. Non un pastore che grida o minaccia per farsi seguire, ma uno che precede e convince, con il suo andare sicuro, davanti a tutti, a prendere in faccia il sole e il vento, pastore di futuro che, per quanto impregnato di sofferenza e di contraddizione, mi rassicura come una divina carezza.
Nella domenica del Divino Pastore la Chiesa ci invita a pregare per tutte le vocazioni, ma in modo particolare per le vocazioni al ministero pastorale. E allora, cari fratelli e sorelle, davvero uniamo le nostre voci a quelle dei cristiani del mondo intero perché non manchino mai nell’oggi della chiesa giovani generosi che accolgono con gioia l’invito del divino pastore a farsi sua voce e sua immagine per guidare gli uomini e le donne del nostro tempo alla gioia piena e vera che è Cristo benedetto nei secoli.
AMEN!