OMELIA
Domenica di Pasqua – Risurrezione del Signore
Andria, Santuario SS. Salvatore, 12 aprile 2020
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Proviamo un po’ ad andare anche noi al sepolcro come ci andarono le donne. Era ancora buio, ci dice San Giovanni che racconta, un racconto un po’ diverso dagli altri. Questa notte, infatti, nella veglia, abbiamo letto quello di Matteo.
Il desiderio di non separarsi dalla persona cara che è scomparsa è forte, come succede del resto nelle nostre famiglie quando c’è un lutto, e così il giorno dopo si torna subito lì, quasi per riannodare un legame che si vorrebbe non fosse mai infranto e queste donne, quando era ancora buio, andavano al sepolcro con dentro il cuore ancora il ricordo della fine tragica di Gesù, del loro Maestro.
A tutto pensavano fuorché alla risurrezione, la cosa non era per niente nei loro pensieri, tanto è vero che, andando verso il sepolcro, si dicevano l’un l’altra: “Come faremo a togliere la pietra davanti al sepolcro? Chi ci aiuterà?” Ebbene, come abbiamo sentito, le donne mentre andavano verso il sepolcro, già da lontano videro una cosa strana: la tomba era già aperta, scoperchiata. E la prima cosa che gli venne in mente fu: “Hanno portato via il corpo del Signore! Un altro sfregio. Non basta che l’hanno ucciso, sono venuti anche a rubarlo, lo hanno portato via!”.
E allora senza nemmeno arrivare sotto il sepolcro, già da lontano, si voltarono indietro e corsero dagli apostoli a dire la novità. Non andarono a dire: “Il Signore è risorto!”. No. Andarono a dire: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto. Che tragedia!”. Tragedia nella tragedia: non solo Gesù era stato ucciso, appeso alla croce, ma anche rubato!
E allora arriva questa notizia così strana e nel frattempo si è fatta l’alba. Pietro e Giovanni che vogliono andare a vedere subito quello che hanno riferito le donne, i due apostoli corrono anche loro.
Pietro e Giovanni sono due apostoli non scelti a caso; Pietro e Giovanni sono due figure simboliche: Pietro è la roccia della Chiesa, è il capo, è quello che doveva prendere in mano le redini di questa famiglia di traditori, di rinnegati. Pietro che stava lì forse ad avvelenarsi nei suoi rimorsi, Pietro che forse stava ancora a piangere amaramente come la notte del tradimento, lui deve vedere, lui deve essere il testimone perché lui deve portare la notizia a tutti, lui, Pietro, quello che lo ha rinnegato tre volte, lui deve avere questo compito altissimo, quest’onore, questa responsabilità di portare la notizia a tutti gli altri. E insieme a lui, Giovanni.
Nel Vangelo di Giovanni questo discepolo viene sempre presentato con un nome particolare, un titolo: “il discepolo che Gesù amava”. Ecco, dunque: Pietro e Giovanni, la roccia della Chiesa e l’amore della Chiesa, tutti e due corrono verso il sepolcro a vedere. A vedere! Arrivano dunque al sepolcro, però Giovanni corre e arriva prima e senza entrare, da fuori già vede qualcosa di strano. Che cosa vede? Dice il racconto: le bende che avvolgevano il corpo di Gesù. Era usanza presso gli ebrei, quando si seppellivano i morti, che venissero avvolti in bende, fasciati come i neonati, era come un tornare nel grembo della terra, fasciati completamente e poi sul volto si metteva un sudario, una specie di asciugamano che potesse assorbire gli unguenti che venivano posti sul corpo. Allora Giovanni arriva e da fuori, senza entrare, vede già le bende per terra. “Ma come?! Hanno rubato il corpo di Gesù e hanno avuto tutto il tempo di togliere le bende? No. No! Qui la cosa non è comprensibile, c’è qualcosa di strano!”. Però intanto Giovanni, il discepolo che Gesù amava, per rispetto a Pietro non entra, aspetta. Da fuori ha visto, però aspetta Pietro che arriva finalmente anche lui, lui entra, lui è l’autorità, la sua parola deve confermare tutto e allora e con il suo sguardo scorge non soltanto le bende per terra, ma scorge anche, piegato in un luogo a parte, il sudario, quel panno che aveva avvolto il volto di Gesù e allora ecco che San Giovanni entra anche lui e il nostro racconto si conclude con queste due parole “E vide e credette”.
E ovviamente con questa notizia nel cuore che scoppiava, tornarono subito a dirlo agli altri.
Ecco noi siamo venuti oggi in Chiesa a celebrare la nostra Pasqua, anche noi in fondo siamo venuti a “vedere”. Che cosa siamo venuti a vedere? Un tempio fatto di mura? D’accordo! Siamo venuti a come membri di una comunità che professa la sua fede e di questa comunità tutti noi, tutti siamo membra vive. Anche se non tutti, per la situazione che stiamo vivendo, siamo fisicamente qui in questo luogo, ma col desiderio, son sicuro, ci siamo tutti. E i mezzi di cui disponiamo oggi ci permettono di sentirci partecipi di questa azione. La Chiesa dunque non sono i mattoni che possono essere più o meno belli, antichi, moderni, perfino dorati. La Chiesa siamo noi con una fede nel cuore che scoppia, è la fede in un Cristo vivo risorto.
Ecco, fratelli e sorelle carissimi, sono duemila anni e più che questi traditori sono diventati testimoni, che questa povera gente senza cultura, senza ricchezze, senza grandi mezzi a cui attingere, son diventati il gruppo dei coraggiosi testimoni. E di seguito a quel flusso millenario di testimoni- traditori oggi ci siamo anche noi. Traditori! Sì, con le nostre fragilità, le nostre miserie, i nostri peccati, ma testimoni, se no non staremmo qui. Certo, come dicevo, so benissimo che a tanti di voi manca stavolta la gioia di essere fisicamente qui. Ma so altrettanto bene che col cuore ci siete tutti, sì, tutti, anche più degli anni scorsi. Non basta una tradizione; una tradizione non dura duemila anni; le tradizioni dei popoli sì, son belle, durano secoli, ma qui ci sono duemila e più anni. Ci pensate? Venti secoli! Quanti imperi sono nati, cresciuti, diventati potenti e poi son finiti…! Quanti imperatori, quanti re, quanti governi…! Quante cose son passate! Ma da duemila anni questo annuncio è sempre qui, davanti a noi con tutta la sua forza, con tutta la sua energia, con tutta la sua gioia a entrare ancora una volta nelle nostre vene e a farci diventare testimoni coraggiosi di una verità, di un fatto che cambia la storia del mondo.
Qual è questo fatto? Proprio quella tomba vuota. Gesù è vivo, è risorto; e per questo non invecchia mai, il suo messaggio è ancora tutto intero da decifrare, da capire e da annunciare e guai se non ci fosse questa parola viva, il mondo sarebbe saltato in aria chissà da quanto tempo.
E così noi ci troviamo a vivere la nostra realtà di credenti, pur tra mille contraddizioni, e difficoltà, soprattutto in questo anno particolare, pensiamo al Venerdì Santo che ancora è nella storia di tanti poveri “cristi”, che soffrono per la malattia, la solitudine, e per l’arroganza, la stupidità, lasciatemelo dire, dei potenti, dei prepotenti. Per quanto lunga sia la notte, l’alba viene, la vita vince, sempre!!
Questa notte abbiamo celebrato la veglia pasquale e dicevano gli antichi cristiani nei loro discorsi, che la notte di Pasqua non è notte; loro non andavano a dormire, trascorrevano tuta la notte a pregare, a cantare, ad ascoltare la parola di Dio, a danzare, a far festa e quando i bambini domandavano: “Ma perché non andiamo a dormire?”. “No. Questa notte non è notte, non si dorme perché è festa”. La notte di Pasqua è segno della notte del mondo, una notte che è sconfitta, che è squarciata dalla luce di Cristo.
E noi dobbiamo portare questa luce al mondo; il mondo se lo aspetta da noi; ci critica, è vero, ma forse perché siamo infedeli, perché siamo traditori
Ma forse questo è segno del fatto che il mondo si aspetta da noi una buona notizia, se l’aspetta una testimonianza e guai a deluderlo. Perciò, carissimi, portiamo avanti con coraggio questo annuncio e sicuramente l’alba della risurrezione sorgerà per tutti gli uomini, anche per quelli che oggi, in questo momento, mentre noi siamo qui a pregare e a riflettere, stanno a penare, a soffrire. Per tutti sorge la luce di Pasqua, non dobbiamo dubitare. E noi con la nostra testimonianza e il nostro impegno dobbiamo far sì che l’alba della risurrezione per il mondo intero possa sorgere quanto più presto possibile.
Cristo è risorto. Lui, diremmo, la sua parte l’ha fatta, grazie a Dio; siamo noi che dobbiamo fare la nostra. Allora l’impegno che nasce di fronte alla tomba vuota è che davvero ciascuno di noi possa essere annunciatore, testimone ma anche coraggioso costruttore dell’alba della risurrezione.