Letture:
At 1,1-11
Sal 46
Eb 9,24-28; 10,19-23
Lc 24,46-53
Celebrando la santa Eucarestia oggi ricordiamo l’Ascensione di Gesù al cielo, e se questa festa chiude il tempo pasquale, essa apre il tempo della testimonianza, il tempo della Chiesa, manca soltanto l’ultimo tocco, se così possiamo dire, a quest’opera d’arte che Gesù ha realizzato ed è la presenza solenne dello Spirito Santo; la celebreremo domenica prossima con la Pentecoste.
Qual è il significato della festa dell’Ascensione? Io comincerei prima di tutto col sottolineare le battute finali del vangelo che abbiamo ascoltato. È sempre Luca che racconta e ci dice come sono andate le cose nel momento dell’Ascensione: “Li condusse fuori verso Betania, alzate le mani li benedisse e mentre li benediceva si staccò da loro e fu portato verso il cielo”. C’è questo fatto un po’ misterioso che lascia gli apostoli con gli occhi all’insù, diremmo, a bocca aperta. Nello stesso racconto che troviamo nella prima lettura troviamo qualche particolare in più. Sentiamo che mentre Gesù sale, a un certo punto i discepoli sono tutti col naso all’insù a guardare tra le nubi per vedere dove è andato a finire Gesù e due angeli, due uomini vestiti di bianco si preoccuparono di dire agli apostoli: “Ma perché state a guardare il cielo? Quel Gesù che è salito un giorno con la stessa potenza tornerà”. Ed essi tornarono a Gerusalemme. La stessa cosa ci dice il brano del vangelo: “Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia”. Dunque non si rattristarono perché Gesù se ne andò, anzi con grande gioia tornarono a Gerusalemme. Il fatto che sono pieni di gioia ci fa comprendere che gli apostoli non hanno vissuto quel momento come un momento di separazione: “Gesù se ne va e noi restiamo qui, soli”. No! Non hanno inteso così, altrimenti non sarebbero pieni di gioia. La gioia invece è il segno che gli apostoli hanno capito che l’Ascensione è semplicemente il momento che chiude il tempo delle apparizioni. È chiusa una stagione, quella in cui Gesù ha avuto bisogno di farsi vedere più volte, di farsi toccare in qualche occasione; Gesù ha sfidato anche un po’ la poca fede degli apostoli, pensiamo, per esempio, all’episodio di Tommaso, ma poi nel momento in cui Gesù si è reso conto che ormai erano pronti per la missione ha pensato che era giunto il momento di lasciarli ma non lasciarli perché non c’è più, lasciarli con la sua presenza fisica, visibile e affidarli alla sua presenza sacramentale.
Dunque gli apostoli capirono questo e pieni di gioia tornarono a Gerusalemme e iniziarono l’attesa del dono promesso, il dono dello Spirito. Nel vangelo proprio questo aveva detto Gesù: “Fermatevi a Gerusalemme ancora qualche giorno e aspettate il dono, quello che il padre vi ha promesso. Quando lo riceverete sarete testimoni”.
Allora il primo significato dell’Ascensione è proprio questo: che i discepoli del Signore non cercano più di vedere Gesù con gli occhi del corpo ma lo vedono con gli occhi della fede nei segni, nei sacramenti della sua presenza. Per cui uno che ha una visione non deve pensare di essere un privilegiato rispetto a uno che non ce l’ha; uno che un giorno dice: “Ho visto la Madonna, ho visto Gesù”, non deve pensare di avere un privilegio rispetto agli altri, perché questi sono comunque dei fatti privati che restano privati. Il Signore si incontra non nella visione, ma nella fede e questa regola vale per tutti. Quindi non dobbiamo pensare che dobbiamo fare chissà che cosa per vedere Gesù e se lo vediamo siamo pieni di gioia e se non lo vediamo siamo tristi. No, non è così.
L’altro significato che dobbiamo cogliere nell’Ascensione è il fatto che Gesù, salendo al cielo, porta a compimento il disegno di salvezza che Dio Padre aveva preparato per noi; Lui, come Verbo di Dio, era già da sempre presso il Padre ma la novità sta ora nel fatto che accanto a Dio c’è un uomo glorificato e se c’è un uomo in quell’uomo ci sono tutti gli uomini. Gesù, salendo al Padre, ci ha aperto la via, ci ha aperto la strada; accanto al Padre l’uomo Gesù crocifisso, risorto e glorificato intercede per noi, è lì a farci capire qual è il nostro destino, è lì a pregare per noi, è lì a sostenerci, accanto al Padre per dire: “Qui dovete venire tutti quanti”. Quando Gesù parlava la sera del giovedì santo, intorno alla mensa, la sera della cena aveva detto ai suoi: “Io vado a prepararvi un posto”. Ecco l’Ascensione è proprio questo: Gesù è andato avanti a noi a prepararci un posto, a prepararci una strada. Perciò, sapendo che la strada è aperta, sapendo che il posto c’è e c’è per tutti, non solo per alcuni privilegiati, ecco che la nostra vita acquista un sapore nuovo, diventa veramente un cammino verso quel posto, verso quella piena glorificazione.
Dunque la festa dell’ascensione è una festa che fa risvegliare nel nostro cuore un desiderio che è quello della patria beata, il desiderio di raggiungere, noi membra del suo corpo, il capo che è Gesù, che è già accanto a Dio. E dunque nella glorificazione dell’uomo Gesù è già anticipata la glorificazione di tutta l’umanità, di ciascuno di noi. È la festa del nostro destino, è la festa della nostra meta, è la festa che, se volgiamo, relativizza tutto ciò che succede quaggiù, tutto passa, di bene, di male, di importante, di meno importante, di noioso, di doloroso, tutto è relativo, tutto, perché tutto passa.
La vera gioia è sedere alla destra del Padre come Gesù e con Gesù, per godere della gloria piena che Lui ha promesso per ciascuno di noi. Questi sono allora i significati da recuperare della festa dell’Ascensione, vi dicevo all’inizio, non una festa che chiude, ma una festa che apre, risveglia in noi desideri nuovi, ci apre a sogni nuovi, ci apre a una rinnovata nostalgia, la nostalgia della patria beata che noi tante volte, attaccati alla patria di quaggiù, dimentichiamo, trascuriamo, eliminiamo dall’orizzonte dei nostri pensieri e dei nostri impegni quotidiani.
Il Signore ci aspetta in paradiso e questo ci basta pe relativizzare tutto. La nostra patria è nei cieli!