Miei Cari,
il tempo liturgico di Avvento che fra qualche giorno avrò inizio riempie il cuore di gioia e di speranza perché Dio “ritorna a visitare il suo popolo”. In un contesto sociale in cui forte è la paura di vivere per la lenta, ma inesorabile caduta dei sistemi che reggono le sorti dell’umanità, con l’Avvento “torna il sereno”, perché, come ci dirà il profeta Isaia «Ecco, un bambino nascerà per noi. Sarà chiamato Dio potente, principe della pace. Coraggio, non abbiate timore: ecco, il nostro Dio viene a salvarci».
Come ogni anno vi scrivo un Messaggio per aiutarvi a cogliere la dimensione educativa della Liturgia che, con i suoi tempi, diventa scuola di vita. Il Tema del Messaggio è: «I ‘Avvento, scuola di dialogo tra le generazioni” e, a ispirami questa sottolineatura è la contemplazione dell’icona evangelica dell’incontro della giovane Maria con l’adulta cugina Elisabetta. Maria, giovane ragazza di Nazareth, in un giorno qualsiasi della sua giovinezza, viene raggiuta da Dio che le propone il suo grande progetto. Maria accetta, ma non comprende.
Subito corre da Elisabetta che, nella sua saggezza, le rivela il significato della proposta di Dio e, una volta compreso, il cuore di Maria trasale di gioia e così nasce il suo canto libero: il Magnificat, promessa e programma di una vita piena.
E questo grazie al dialogo tra chi si affaccia alla vita e chi della vita è maestra.
Miei cari è il dialogo che genera fiducia e speranza e infonde coraggio in chi, come i nostri giovani, rischiano di perdere il gusto di avventure grandi e significative. I nostri giovani sono “in fieri”, profondamente bisognosi di personalità adulte, capaci di accompagnarli nella scoperta non del già predestinato, ma di un progetto, quello di Dio, che, per compiersi ha bisogno di una mano che sappia mettere il punto. Come alcune opere artistiche di Michelangelo, chiamate i “non finiti”, i nostri giovani devono essere continuamente educati a mettere in gioco la loro libertà, per dare compimento all’opera artistica disegnata nel loro intimo. E questo è il compito di noi adulti.
Ma cosa significa dialogare?
Innanzitutto fissare lo sguardo, vedere, scrutare e, come sentinelle, vegliare sui giovani scorgendo in essi l’alba di una vita nuova e non presagi di sventura.
Noi adulti dobbiamo liberarci dalla considerazione dei giovani come un problema indecifrabile, questa è una scappatoia, un alibi per nascondere la nostra incapacità di comprendere e decodificare i messaggi che ci lanciano. Ma dobbiamo avere il coraggio di riconoscere in loro una grande risorsa di bene. In secondo luogo ascoltare entrando in empatia con il loro linguaggio a volte fatto di silenzi. In terzo luogo parlare con l’autorevolezza di chi è cresciuto alla scuola della vita raggiungendo la postura di adulti che hanno il coraggio di rinunciare al mito dell’eterna giovinezza.
Urge creare occasioni di dialogo.
Perciò, in questo tempo di Avvento, impegniamoci tutti a creare occasioni di dialogo: in casa, soprattutto nei momenti di convivialità, si mettano a tacere televisione, telefonini e tutto quanto impedisce una conversazione che riscalda il cuore; sarà pesante ma edificante per tutti. Nelle comunità parrocchiali a momenti di catechesi in cui si parla a tutti senza raggiungere il cuore di nessuno, si torni a preferire la direzione spirituale che certamente richiederà più tempo, ma diventa momento generativo di speranza e fiducia nella vita.
Bastano solo queste piccole indicazioni per far sì che l’Avvento sia vissuto da tutti come “attesa” del compimento di una “promessa”:
Solo allora la nascita del Signore sarà rinascita di relazioni autentiche e rigenerative di vita e di vita piena.