Letture:
At 14,21-27
Sal 144
Ap 21, 1-5
Gv 13,31-33;34-35
Carissimi Fratelli e sorelle,
Una prima riflessione oggi vorrei coglierla dalla prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, nella quale ci è stato offerto il racconto della vita della prima comunità cristiana, quella dove c’erano ancora gli apostoli. Prima di tutto si trattava di una comunità sempre in fermento, sempre in cammino, non erano comunità di sedentari, di gente addormentata, che si svegliavano la domenica per l’incontro e poi basta. No. Notiamo, invece, che erano comunità molto vive, c’era una grande circolarità di vita tra di loro. Poi erano comunità molto impegnate sul versante della testimonianza, della evangelizzazione. Notiamo gli apostoli che vanno girando di qua e di là. Ognuno va in un paese vicino, poi da quel paese in un altro ancora, insomma sembra proprio come una macchia d’olio. Così è la chiesa: questa macchia d’olio cresce nel mondo. Come mai cresce? Cresce perché i suoi membri non sono cristiani per salvarsi l’anima, ma sono testimoni per cui ogni cristiano prima o poi si moltiplica per due, per quattro, per dieci, per venti e la Chiesa cresce. Però anche se la famiglia cresceva conservava sempre uno spirito di famiglia. Infatti l’ultimo passaggio della lettura ci racconta questo particolare: c’erano Paolo e Barnaba che erano andati a predicare, avevano fatto un giro in alcune località vicine e poi tornano nella loro comunità che era quella di Antiochia. E, appena tornati, radunarono tutta la comunità e raccontarono tutte le cose belle che il Signore aveva fatto per mezzo di loro, sentirono il desiderio di raccontare a tutti quello che avevano fatto, cioè non erano dei missionari solitari, ma si sentivano come le punte avanzate di una famiglia, qualunque cosa facevano la riferivano in famiglia. Convocarono la comunità e raccontarono tutto.
Vorrei che prestassimo tutta l’attenzione possibile a questo aspetto: Lo spirito di famiglia. Nei primi cristiani era molto sentito questo. Essere cristiani non significava avere una fede, avere un timbro sull’anagrafe. No. Essere cristiani significava appartenere a una famiglia che si chiama Chiesa, sentirsi membra vive di questa famiglia. Dobbiamo riconoscere che col passar del tempo, sono passati duemila anni da quei fatti e sono successe tante cose, la vita è cambiata, dobbiamo purtroppo dirci che oggi è molto debole il senso di appartenenza alla Chiesa. Per molti la Chiesa è come un’agenzia, l’agenzia del sacro dove si va per chiedere qualcosa, un certificato, un sacramento, una messa per un defunto, dove si va soltanto per chiedere dei servizi e tante volte se ci si può risparmiare di andare, mandando qualcuno, ancora meglio!
Ecco, noi abbiamo un po’ smarrito il senso di appartenenza alla Chiesa, crediamo ma non abbiamo il senso di appartenenza, è, come dire, un credere senza appartenere, è un credere anonimo che tante volte, proprio perché anonimo, non dà senso alla vita. Poi arrivano certi momenti, come per esempio la celebrazione dei sacramenti, la prima comunione, la cresima, e capita di vedere in Chiesa persone che non vedi mai. Sì, tanti, non sentendosi membra vive della famiglia, non partecipano nemmeno alla sua vita, delegando questa cosa soltanto ad alcuni. Spesso c’è questa mentalità: quelli della chiesa e gli altri. Tutti i battezzati sono della chiesa, tutti e anche chi viene una sola volta nella vita viene qui a casa sua. Sì, è molto debole il senso di appartenenza alla Chiesa, non la sentiamo come la nostra casa, la nostra famiglia di fede, dove insieme si ascolta la parola di Dio, insieme ci si aiuta nelle fede, insieme si cresce, qualche volta si litiga pure, però è famiglia che cresce e si impegna a testimoniare l’amore di Dio nel mondo.
E chiediamoci allora: Perché c’è la Chiesa? Perché ci sono i cristiani? Qual è il loro scopo? È annunciare, raccontare, far vedere agli altri l’amore di Dio, facendolo vedere nella concretezza della vita. Infatti Gesù appena Giuda esce dal cenacolo, perché svelato come traditore, dice agli altri: “vi do un comandamento nuovo: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati”, cioè sembra dire: “State attenti. Adesso non è che vi mettete a dire tutto il male possibile di Giuda che mi ha tradito come se voi siete i buoni e i santi. Che qua siete tutti traditori! Dovete voler bene anche a Giuda”. Sì, una volta uno, una volta l’altro qui tradiamo tutti e tutti abbiamo bisogno di perdono. Gesù ci ripete oggi: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato, cioè io andrò a morire per voi che siete quello che siete, così dovete fare pure voi gli uni per gli altri e – conclude – questo è il segno dal quale si capirà che siete miei discepoli”. Come si fa a vedere che quello è cristiano e quello no? Dal fatto che uno va in Chiesa e l’altro no? No. Ma se avrete amore gli uni per gli altri. Ecco perché poi, tornando alla riflessione iniziale, tante volte non si sente il senso di appartenenza alla Chiesa, quelli che poi lo sentono il senso di appartenenza non è che poi lo testimoniano in maniera limpida. Infatti tante volte proprio quelli che sono i più “intimi del Signore” sono quelli che, non danno esempio di vita fraterna. E allora come fa uno ad innamorarsi di questa famiglia se non la vede come famiglia di fede, se non la percepisce come famiglia dove tutti ci si vuol bene, ci si perdona, ci si aiuta. Se questo non si vede uno come può innamorarsi della Chiesa?
Allora per concludere la riflessione io vorrei dire due ultime parole ai giovani, ai ragazzi: amate la Chiesa sempre, anche quando vi delude perché in fondo è fatta di uomini e non di angeli. E gli uomini sbagliano finché hanno i piedi sulla terra. Però dico anche a noi grandi: Non deludiamo le attese dei giovani, facciamo in modo di dare loro comunque e sempre una testimonianza di chiesa unita che vive l’amore di Dio e così lo dona al mondo.