OMELIA
XI Domenica del tempo ordinario
Andria, 13 giugno 2021
Letture:
Ez 17, 22-24
Sal 91
2Cor 5, 6-10
Mc 4, 26-34
Il brano evangelico di questa domenica è costituito da due brevi parabole che hanno come tema il Regno di Dio. È un tema molto caro a Gesù e oltre queste due di oggi ci sono anche diverse altre parabole che ne parlano. Come sappiamo Gesù ama parlare in parabole, questo gli permette di proclamare le grandi verità della vita e della fede, facendo riflettere i suoi ascoltatori di allora e di sempre. Ed oggi dunque siamo noi a chiederci: che cosa ci vuole dire Gesù con queste due parabole?
Il Signore ci vuol dire che Dio regna lì dove lo si accoglie, dove ci si sforza di fare la sua volontà, dove si vive nell’amore reciproco, secondo il suo comandamento nuovo ed eterno di amarci gli uni gli altri come lui ha amato noi.
Dobbiamo ricordare innanzitutto che il Regno di Dio non è uno stato che si affianchi a quelli esistenti, non è un’impresa o un’associazione come ce ne sono tante, di carattere economico, culturale, sociale. Il Regno di Dio si trova là dove ci sono degli uomini che da soli o, ancor meglio, insieme orientano a Dio la propria vita, e così facendo concorrono a orientare a Lui lo scorrere della vita del mondo. E dunque, le due brevi parabole intendono affermare che se la semina è affidata da Dio alla nostra opera, la crescita del Regno si deve alla libera iniziativa di Dio, e solo Lui ne conosce e dirige le dinamiche; solo lui sa perché nasce e cresce più qui che là, più in un certo tempo che in altri, se, quando e dove maturerà.
E noi dobbiamo crederci con tutte le forze, ma insieme dobbiamo avere pazienza; come il contadino non può affrettare la crescita di quanto ha seminato, così il cristiano può desiderare intensamente, con le migliori intenzioni, che il suo Signore sia conosciuto e accolto da tutti, e operare ogni scelta di vita in questa direzione, ma deve umilmente sottomettersi a un progetto di salvezza ben più grande, di cui non è lui l’autore né il realizzatore. É Dio che chiama: chi, quando e come Lui solo sa; certo, Dio ci invita a collaborare, ma anche ad essere ben attenti a non cedere mai, nemmeno per un attimo, alla tentazione di pensare che il risultato dipenda dalla nostra bravura, quasi fosse un atto dovuto, un risultato da programmare e raggiungere a tutti i costi.
Perciò, da parte di chi ha accolto in sé il Regno e si rende disponibile a promuoverlo negli altri, occorre non perdere mai di vista la necessità di evitare atteggiamenti che sono fuori luogo, a cominciare da quello di contarsi, fermandosi ai numeri. Periodicamente, lo sappiamo bene, si promuovono e si pubblicano statistiche sul numero dei cristiani nel mondo, su quanti partecipano alla Messa festiva, su quanti celebrano il matrimonio religioso e così via: ma sarebbe sbagliatissimo dedurre da questi dati il livello di diffusione del regno di Dio: Lui soltanto legge nelle coscienze, Lui soltanto sa.
E così pure penso che dobbiamo stare ben in guardia da due opposti estremismi, in cui è facile cadere. Da un lato un certo quietismo, molto vicino al fatalismo, che equivale a dire che poiché tutto dipende da Dio, è inutile che ci diamo troppo da fare; possiamo solo aspettare. Dall’altro lato una sorta di efficientismo esasperato, che ci porta a organizzare, prevedere, moltiplicare opere e programmi, come se l’attuazione del Regno possa dipendere poi solo dall’impegno umano. Certo, è un dovere darsi da fare; ma guai se questo poi va a scapito di altri valori, quali la preghiera, l’umiltà, la fiducia in Colui che solo conosce cosa c’è nel cuore di ogni uomo e dunque quali siano destini dell’umanità intera.
Dio che tutto può, nulla compie senza investirci di responsabilità, certo, ma dobbiamo essere sempre convinti che l’iniziativa parte da Lui. Nella sua parola c’è un dinamismo tale che, se viene accolta, essa cresce e porta frutto in maniera sempre sorprendente.
Ci aiuta a comprendere il messaggio del vangelo di oggi un intervento molto efficace di un maestro di spiritualità che dice così: “Così è il regno di Dio: piccola realtà, ma che ha in sé una potenza misteriosa, silenziosa, irresistibile ed efficace, che si dilata senza che noi facciamo nulla. Il contadino non può fare davvero nulla: deve solo seminare il seme nella terra, ma poi sia che lui dorma sia che si alzi di notte per controllare ciò che accade, la crescita non dipende più da lui” (E. Bianchi).
Ecco dunque il compito nostro: seminare, seminare sempre il bene, instancabilmente, aspettando con fiducia, ma senza alcuna pretesa di voler vedere per forza i risultati, perché questo porta ad insuperbirci nel dire poi: “Come siamo stati bravi!”.
E penso allora che, alla luce delle riflessioni appena abbozzate, possiamo comprendere perché Gesù, nell’insegnare la preghiera del Padre Nostro, ha inserito quella invocazione: “Venga il tuo regno”. Desiderarlo con una attesa operosa e fiduciosa ci porta a diventare ogni giorno di più collaboratori di Dio nell’avvento del suo regno che è, ricordiamolo sempre, è un regno di vera giustizia e di pace per tutti.