OMELIA
V Domenica di Pasqua
Andria, 2 maggio 2021
Letture:
At 9,26-31
Sal 21
1 Gv 3,18-24
Gv 15,1-8
Dopo quella del Pastore, Gesù oggi si presenta a noi con un’altra bella immagine, molto suggestiva: La vite e i tralci. É Lui stesso che le sceglie queste immagini, non sono il frutto della nostra fantasia, ma sono il frutto del suo desiderio di trasmettere, attraverso di esse, significati forti per la nostra vita di fede e noi, nella riflessione dobbiamo cercare insieme di accogliere come Parola del Signore.
“Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo”, ci dice oggi il Signore. Di questa immagine, che Gesù stesso provvede a spiegarci, vorrei sottolineare tre passaggi:
- prima di tutto parliamo del vignaiolo, dice Gesù: “…il Padre mio è il vignaiolo”. É Dio questo grande vignaiolo.
- Poi la vigna che rappresenta il mondo, la storia degli uomini.
- E infine la vite: “Io sono la vera vite – dice Gesù – e voi siete i tralci”.
Ecco, dunque, sulla base di questa immagine, in ascolto di Gesù, cerchiamo di comprendere quello che oggi Lui ci vuol dire. Innanzitutto la prima indicazione: “Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie…”, siamo chiamati cioè a portare frutti e possiamo portare frutti solo se restiamo uniti a Gesù e dovremo ovviamente cercare di comprendere bene di quali frutti si tratta. Ma c’è anche l’altra alternativa che spiega tante cose della nostra vita: “…ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”.
È interessante questo riferimento che Gesù fa alla potatura; potare significa tagliare tutti i rami che sono in più, che farebbero disperdere solo della linfa, significa tagliare quei rami che sicuramente porterebbero la vite a diventare improduttiva, perché sono sbagliati, sono nati in un posto che non è il loro, perché sono storti. Vedete, carissimi fratelli e sorelle, il discorso della potatura – dicevo – spiega tante cose della nostra vita e potrebbe anche essere la risposta che tante volte noi cerchiamo al tema della sofferenza. Che cos’è la sofferenza? Perché si soffre? Tante volte noi attraversiamo momenti acuti di sofferenza, di dolore; Gesù ci dà una chiave: la potatura. La sofferenza certo non è la punizione di Dio per le nostre colte, ma è la potatura dell’anima attraverso la quale noi ci affiniamo nella nostra interiorità; nel momento del dolore ciò che è autentico viene fuori e costruisce e consolida un’esistenza; nel momento in cui va tutto bene ci si adagia, ci si dimentica anche di Dio. La potatura dunque ha un grande valore educativo, infatti Gesù afferma che il Padre compie questo gesto con uno scopo: “…lo pota perché porti più frutto”, e noi, attraversando le potature della vita de facendoci da esse educare, dobbiamo cercare di portare sempre più frutti.
Ma di quali frutti si tratta? Non è difficile, la seconda lettura ce lo ha detto chiaramente: “Questo è il suo comandamento: – ci ha detto San Giovanni – che crediamo nel suo nome, nel nome del Figlio suo Gesù e ci amiamo gli uni gli altri”, ecco i frutti: la fede e l’amore: la fede che dimensiona tutta l’esistenza e l’amore, l’amore concreto che la esprime.
Ci ha detto San Giovanni, cominciando la seconda lettura: “…non amiamo soltanto a parole…”. Sì, dobbiamo riconoscere che a volte noi ci riempiamo la bocca con i discorsi d’amore, facciamo i romantici, i sentimentali, ma poi quando arriva il momento che dobbiamo versare qualche piccola goccia di sangue per amore, quando arriva il momento che dobbiamo sacrificarci un po’ perché c’è da sopportare qualcosa che non ci piace, quando c’è da incassare qualche dispiacere, allora tutti i discorsi che sappiamo fare agli altri poi per noi non valgono più.
“…Non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità”. E proviamo a chiamare le cose con il loro nome. Quali sono i fatti dell’amore: la pazienza, la sopportazione, il perdono, la generosità, la carità, la fraternità, la correzione fraterna… I fatti! E allora, per poter portare frutti, torniamo all’immagine che Gesù oggi ci offre, c’è una sola strada: che il tralcio rimanga unito alla vite, perché se il tralcio si stacca, pensando orgogliosamente: “Ma io non ho bisogno della vite, faccio da me!”, se il tralcio si stacca – dice Gesù senza mezzi termini, senza ricorrere a metafore stavolta – “senza di me non potete far nulla”. Notiamo che Gesù questa volta dice la cosa com’è, nuda e cruda: “…senza di me non potete far nulla”, nulla di buono insomma! I frutti!
E per altro verso, però, c’è anche il rovescio della medaglia: cioè, se non riusciamo a far nulla di buono, se non riusciamo a produrre frutti d’amore, allora non ci vuole molto a capire perché…, perché noi evidentemente non siamo uniti a Lui. Se una persona ci ha fatto un torto e noi non riusciamo a perdonarlo, che significa? Che io non sono unito a Gesù. “Ma come?! Sto sempre in Chiesa! Non manco mai a un appuntamento col Signore…”. Puoi stare sempre in Chiesa e dire tutte le preghiere che vuoi, ma se non riesci a fare quell’atto di perdono, tu non sei unito a Gesù! Non ci prendiamo in giro! È soltanto in Gesù che si fanno certe cose, non perché abbiamo motivi umani per farlo; motivi per non farlo ce ne sono mille, motivi per farlo ce n’è uno solo: in Gesù! Allora certe cose o si fanno in Gesù per spirito di fede e di amore vero o non si faranno mai.
Ed andiamo all’ultimo passaggio del discorso di Gesù: “Rimanete in me e io in voi…Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato”. Certo! Quando siamo strettamente uniti a Gesù, allora anche la preghiera non è più chiedere grazie, ma diventa un chiedere al Signore una cosa sola: “Signore, aprimi il cuore per comprendere e fare la tua volontà”, e il Signore mi esaudisce. Sicuro! perché a furia di chiederlo nella preghiera, poi la sua volontà io la faccio, la faccio pure volentieri, in Cristo.
Ecco, dunque, carissimi, dobbiamo chiedere questo dono al Signore nella liturgia di questa domenica, e non soltanto oggi, ma sempre, tutti i giorni: che riusciamo a restare in Lui, a restare uniti a Lui, sempre, con la mente, con il cuore e perciò con la vita.