Carissimi fratelli e sorelle,
con timore e tremore mi accingo a questa impresa stasera, consapevole che la nostra Chiesa nel convegno diocesano vive uno dei momenti più significativi del suo cammino, in risposta a quanto ci chiede la storia nella quale siamo immersi e della quale peraltro siamo tutti protagonisti.
La lettera pastorale che vi ho scritto porta, come ben sapete, un titolo che è tutto un programma: “Partiamo dal Centro”, dove la parola Centro è scritto con la maiuscola. Nell’anno appena trascorso il tema, come ben ricordate, era: Una chiesa dalle porte aperte. Questo tema l’abbiamo declinato in due movimenti: uno che potremmo definire “in entrata”. Cioè porte aperte vuol dire casa di tutti, casa dove tutti sanno di essere “di casa”, di essere attesi. Casa dove anche chi viene per una sola volta nella sua vita, sa che quella è casa sua. Dunque casa dove non ci sono stili escludenti, gruppi ristretti di onnipresenti e tutti gli altri semplici fruitori di servizi religiosi, ma, al contrario, stili di accoglienza, di partecipazione, di apertura a tutto campo, senza segreti o zone franche da proteggere.
E l’altro movimento è quello “in uscita”, descrive cioè l’ansia, l’anelito missionario che deve caratterizzare lo scorrere della vita delle nostre comunità. Attività, inviti, sollecitazioni devono essere sempre rinnovate per tutti coloro che per tanti motivi, che a nessuno di noi compete giudicare, sono fuori del circuito della vita e delle attività comunitarie.
E proprio in relazione a questo movimento in uscita nasce il cammino che vi ho proposto per questo anno pastorale: “Partiamo dal Centro”. Cioè se è vero che dobbiamo uscire per andare verso gli altri e portare l’annuncio del Signore Risorto, è altrettanto vero che dobbiamo dirci con chiarezza, oltre che con fermezza, che questo andare non rappresenta una semplice operazione di propaganda, o di servizi religiosi da assicurare con modalità che siano all’altezza dei tempi, magari per veder crescere le fila dei frequentanti delle nostre parrocchie, bensì il frutto di un desiderio struggente che ci portiamo dentro: quello di rendere partecipi tutti della straordinaria esperienza che noi facciamo: quella di incontrare il Risorto e di vederci continuamente rinnovare il cuore e la vita dalla Sua presenza nella nostra storia.
Ecco allora “il Centro”: per ogni credente il centro è Gesù, la Sua parola di vita e di luce, il suo corpo, pane spezzato, e il suo sangue, vino versato per noi ogni volta che si rinnova sui nostri altari il gesto eucaristico.
E allora vorrei con voi collocarfami al Centro e con voi contemplare due icone evangeliche, per ricevere suggestioni, pensieri ispiratori, impulsi sempre rigeneranti, nella convinzione che l’incontro con la Parola di Dio è sempre generatore di vita nuova. Queste due icone sono naturalmente relative ai due ambiti nei quali con la lettera pastorale vi invitavo a tenerci in sintonia con il magistero di Papa Francesco: Innanzitutto La Famiglia, sulla scia dei due sinodi recentemente celebrati e della pubblicazione della Amoris Laetitia, e poi i Giovani, inserendoci così nel cammino di preparazione al Sinodo dei giovani che vedrà la Chiesa impegnata nel prossimo anno.
1. Vado subito alla prima icona evangelica. Intendo soffermarmi a contemplare con voi, attraverso le pagine dei vangeli dell’infanzia, la particolare esperienza della Santa Famiglia, la famiglia di Gesù. In verità noi ci siamo abituati all’aspetto romantico delle scene natalizie e quasi non riusciamo a percepire la profondità dei messaggi che esse racchiudono. Ma proviamo a pensare: una coppia di giovanissimi fidanzati, diventati sposi un po’ in fretta per forza di cose, per via di una maternità arrivata in maniera misteriosa, in tutti sensi, che affronta scelte di vita che, a pensarci oggi a distanza, hanno dell’incredibile: affrontare le dicerie della gente, la giovanissima età della sposa, il viaggio a Betlemme per il censimento, l’affannosa ricerca di un luogo tranquillo per poter partorire in serenità, circondati da un clima di movimento di massa provocato appunto dal censimento, il dover partorire in condizioni di assoluta precarietà, costretti a chiedere ospitalità a qualche famiglia di buona gente che prendesse a cuore la situazione di quella sposa madre ragazza, l’arrivo delle prime visite assolutamente non attese, quella dei pastori, che rappresentavano lo scarto della società, costretti a vivere fuori del contesto sociale…
E poco tempo dopo questa nascita in condizioni di precarietà, come abbiamo appena detto, un’altra esperienza anch’essa difficile e complessa, quella dell’esilio. Siamo abituati a chiamarla “la fuga in Egitto”. Ma ce la immaginiamo quella che noi siamo abituati a chiamare con rispetto e venerazione “La Sacra Famiglia”, costretta a fuggire perché la vita del piccolo Gesù è in pericolo, cercarsi alloggi di fortuna in terra straniera, cercarsi da vivere attingendo non a raccomandazioni di amici potenti, ma unicamente al buon cuore di persone generose e disponibili nel dare una mano a una famiglia di forestieri, di profughi.
E voglio aggiungere un’altra importante pennellata per rendere completa questa icona della famiglia di Gesù. Riferisce l’evangelista Luca che quando i genitori di Gesù portarono il piccolo al tempio per i riti della presentazione prescritti dalla legge di Mosè si trovarono di fronte alle parole ispirate del vecchio Simeone: essi “si stupivano delle cose che si dicevano di Lui”. Ed ancora, dopo l’esperienza dello smarrimento e del ritrovamento di Gesù dodicenne nel tempio di Gerusalemme, sempre il vangelo di Luca ci riferisce che alla risposta di Gesù i genitori “non compresero quelle parole”. Ecco una bella immagine dei genitori di Gesù: persone che si stupiscono, che non capiscono ma che, in spirito di fede, vanno avanti nel compimento fedele della loro missione.
Dunque, cari amici, il Figlio di Dio, per venire nella storia degli uomini, non ha voluto farsi precedere da annunci altisonanti, non ha preteso accoglienze degne del suo rango, ma si è dovuto cercare una famiglia di gente umile che ha faticato non poco per accogliere il mistero di Dio nella propria vita, una famiglia che in più occasioni ha dovuto chiedere accoglienza, comprensione, sostegno a gente buona, gente di cuore che aiuta senza fare troppe domande, sostiene senza pretendere nulla in cambio. Una famiglia che certamente ha dovuto chiedere tante volte al buon Dio luce e aiuto per andare avanti.
Questi capitoli della storia di Gesù sono così chiari nei loro insegnamenti che parlano da sé. Gesù, prima ancora di incominciare a parlare, già dalla sua prima infanzia ha dato insegnamenti che solo chi non vuol capire non capisce. Sta di fatto che questa che noi chiamiamo la Sacra Famiglia è così tanto simile a molte nostre famiglie che, dunque, come quella di Gesù, di sicuro sono tutte “sacre”. E questo, come per quella di Gesù, non le esonera affatto dal dover affrontare difficoltà di tutti i tipi per andare avanti: difficoltà di salute, difficoltà di lavoro che manca o che è sottopagato, difficoltà di relazioni tra i suoi membri: tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle… Insomma la famiglia di Gesù abbiamo visto che non è una famiglia ideale dove non ci sono problemi, dove – come si usa dire – ci solo rose e fiori, ma è una famiglia “reale” simile in tutto a tante nostre famiglie, dove tutti i giorni bisogna fare i conti con difficoltà molto concrete, pericoli a cui sfuggire, tranquillità di vita quotidiana continuamente da proteggere, conquistare e conservare.
2. E andiamo ora alla seconda icona evangelica che è relativa al secondo ambito dell’impegno pastorale a cui vi ho chiamati con la lettera pastorale: il mondo dei giovani. E’ una icona che vede protagonista un giovane, quello che siamo abituati a chiamare “il giovane ricco”. Il testo di Matteo, al capitolo 19, ci dà questa precisazione in più rispetto ai testi paralleli degli altri due evangelisti Marco e Luca che ci raccontano lo stesso episodio: si tratta di un giovane che, come tanti giovani di sempre, certo nutre grandi ideali, ma che non ha la lucidità e la forza di guardare al suo futuro con realismo e coraggio, ha il cuore imprigionato nelle cose, nei beni terreni. Chiudendo il racconto, l’evangelista Matteo commenta con una frase scultorea: “Se ne andò via triste, infatti possedeva molte ricchezze”. E, quel che lo rende solo nel suo dramma, è che nessuno lo aiuta a mettersi in discussione. E in ciò questo giovane del vangelo assomiglia davvero tanto a molti dei nostri giovani. Essi coltivano grandi ideali per il loro futuro e il mondo, ma sono confusi, vivono in un tempo che non li aiuta per niente a camminare speditamente e ad impegnarsi per migliorare se stessi e la società. Il mondo degli adulti, a cominciare dai più vicini: i genitori, gli insegnanti, noi preti, i catechisti, non riescono a trovare le giuste sintonie con loro. E così tanti giovani finiscono così per rinunciare, ripiegandosi su se stessi, spesso facendo annegare la delusione e la solitudine nella fuga verso abitudini di vita che generano tristi dipendenze, addormentano la coscienza e non fanno più pensare. E tutto questo spesso rischia di renderli, già in giovane età, larve umane, senza spina dorsale perché hanno smarrito la gioia di sognare, di desiderare, di lottare per qualcosa, hanno già tutto. Ma…è proprio vero che hanno tutto?
Nella lettera pastorale vi ho parlato di tanti giovani che certo frequentano i cammini di fede, che accettano di farsi accompagnare dalle nostre comunità, ma vi ho parlato anche di altrettanti giovani, purtroppo certamente più numerosi dei primi, che sono del tutto lontani dalla vita ecclesiale. Ricevuta la Cresima, nel giro di qualche mese non ne avvertono più alcuna attrattiva e interesse. Ce li ritroviamo poi ai corsi pre-matrimoniali e ci accorgiamo che devono essere completamente ri-evangelizzati, ripartendo da zero. Anni di lontananza cancellano totalmente quanto hanno vissuto nell’infanzia.
A nessuno sfugge che questa impostazione pastorale della nostra Chiesa deve essere quanto meno seriamente ripensata perché si mostra inadeguata a reggere le nuove sfide dei tempi. Nella stessa lettera vi ho scritto che questa riflessione non vuole assolutamente essere e non è una attestazione di disistima verso quanto, con dispendio di tante energie lodevolmente si fa, ma chiede a tutti un supplemento di fantasia e di desiderio per mettersi seriamente in ascolto dei tempi e cercare di capire quello che il Signore ci chiede per intercettare le aspirazioni più profonde del mondo giovanile e provare così a costruire le necessarie sintonie.
Il Papa, dall’alto dei suoi ottant’anni, si fa maestro nello sforzo di intercettare le più profonde aspirazioni del mondo giovanile, quelle che tutti i giovani si portano dentro, anche quelli che pian piano si allontanano dai nostri ambienti. Perciò, a commento di quanto appena detto, e per concludere il mio intervento, mi piace riportare un brano della lettera ai giovani con cui il Papa accompagna la pubblicazione del documento preparatorio al prossimo Sinodo dei giovani: Anche a voi Gesù rivolge il suo sguardo e vi invita ad andare presso di lui. Carissimi giovani, avete incontrato questo sguardo? Avete udito questa voce? Avete sentito quest’impulso a mettervi in cammino? Sono sicuro che, sebbene il frastuono e lo stordimento sembrino regnare nel mondo, questa chiamata continua a risuonare nel vostro animo per aprirlo alla gioia piena. Ciò sarà possibile nella misura in cui, anche attraverso l’accompagnamento di guide esperte, saprete intraprendere un itinerario di discernimento per scoprire il progetto di Dio sulla vostra vita. Pure quando il vostro cammino è segnato dalla precarietà e dalla caduta, Dio ricco di misericordia tende la sua mano per rialzarvi. A Cracovia, in apertura dell’ultima Giornata Mondiale della Gioventù, vi ho chiesto più volte: «Le cose si possono cambiare?». E voi avete gridato insieme un fragoroso «Sì». Quel grido nasce dal vostro cuore giovane che non sopporta l’ingiustizia e non può piegarsi alla cultura dello scarto, né cedere alla globalizzazione dell’indifferenza. Ascoltate quel grido che sale dal vostro intimo! Anche quando avvertite, come il profeta Geremia, l’inesperienza della vostra giovane età, Dio vi incoraggia ad andare dove Egli vi invia: «Non aver paura […] perché io sono con te per proteggerti» (Ger 1,8).
Ecco, carissimi fratelli e sorelle, ho cercato di dirvi quanto mi porto in animo. Ho pensato di offrirvi queste riflessioni che, unite a quelle che abbiamo ascoltato ieri, possono costituire, insieme naturalmente a quanto scritto nella lettera pastorale, il punto di partenza per una programmazione pastorale che risulti essere frutto di attento e coraggioso discernimento. Si, l’impegno pastorale di ogni espressione della nostra Chiesa deve partire non da programmi fatti da gente che li studia e li costruisce a tavolino, ma li fa scaturire da una attenta osservazione e da un altrettanto attento ascolto della realtà. Un discernimento che, tenendo conto della situazione dei due ambiti: famiglia e giovani, ci dispone dunque ad intervenire con rinnovato impegno e generosità.
Naturalmente i concreti interventi saranno studiati e attuati attraverso gli organi di partecipazione: Consiglio Presbiterale, Consigli Pastorali Diocesano e Parrocchiali, Consigli di zona… Così facendo ci auguriamo di essere Chiesa che risponde alla sua originaria e propria vocazione: quella che i nostri vescovi italiani già da diversi anni ci hanno abituati a denominare così: Annunciare il Vangelo in un mondo che cambia.
Grazie per la vostra attenzione!
+ Luigi Mansi