Solennità di San Riccardo, Vescovo

10-06-2024

Carissimi fratelli e sorelle, carissimi confratelli,

La pagina che ci è stata donata oggi offre ancora una volta alla nostra contemplazione e alla nostra meditazione l’immagine del Buon Pastore, tratta dal vangelo di Giovanni. E perciò proviamo ancora una volta a sentirci tutti chiamati a misurarci con questa immagine con cui Gesù si presenta innanzitutto noi, ministri ordinati, Vescovo, Presbiteri e Diaconi, che per la nostra specifica vocazione siamo chiamati ad essere immagine viva, credibile e – direi – convincente di Gesù sommo Sacerdote e Pastore.

Certo, le riflessioni possibili si estendono poi anche all’intero popolo di Dio, a cominciare da quanti ricevono un Ministero particolare, quello di Lettore, che istituiremo proprio oggi. L’intero popolo di Dio, guidato e sostenuto da noi pastori, è chiamato a prendersi a cuore l’annunzio del Vangelo e a realizzare l’animazione cristiana della realtà. E questo soprattutto alla luce del tempo particolare che siamo chiamati a vivere, tempo nel quale si assiste ad un notevole allontanamento dalla vita della Chiesa di tante fasce del nostro popolo, soprattutto i giovani. Non è un mistero per nessuno il fatto che le nostre chiese si riempiono spesso solo in occasioni particolari come le prime comunioni dei bambini, le cresime dei ragazzi, le feste dei santi.

Io sono il buon pastore, il buon pastore offre la vita per le pecore” esordisce Gesù nel testo di S. Giovanni. Sappiamo bene che la traduzione impoverisce di molto la forza del testo originale. Il testo originale, scritto in greco usa un aggettivo: “kalòs”- che vuol dire molto di più che “buono”. Più che “buon” pastore, che ci fa pensare semplicemente ad un pastore che ha un buon animo, che ha buone maniere, caratterizzate da dolcezza e tenerezza, che perdona sempre …dovremmo dire, per farlo risaltare nel suo vero senso: “Io sono il “vero” pastore”.

Anche perché il titolo veniva usato nel mondo ebraico del tempo di Gesù per indicare coloro che esercitavano i pubblici poteri di governo del popolo. Gesù ci dice, invece: Io e solo io mi prendo davvero cura di voi, vi proteggo, vi difendo, vi porto a salvezza. E, provando ad entrare nelle parole di Gesù, potremmo anche aggiungere: Egli realizza tutto questo non solo e non tanto semplicemente come nostro maestro, dandoci cioè insegnamenti preziosi e decisivi per arrivare alla meta; non solo e non tanto mettendoci in guardia e proteggendoci da tutti quei falsi pastori, falsi maestri che carpendo la nostra fiducia ci fanno sognare e desiderare paradisi terreni. No! Ci ha detto Gesù con parole inequivocabili: “Il buon pastore offre la vita per le sue pecore”.

Non penso di sbagliarmi se dico che i discepoli, quando Gesù ha detto queste parole non le abbiano comprese nel loro vero senso, direi nel loro vero “peso”. Hanno cominciato a comprenderle solo quando, alla luce della Pasqua, hanno ripensato al loro maestro che aveva dato la vita, non in senso metaforico ma reale, cioè quando hanno ripensato al mistero della morte in croce del loro maestro. E così anche noi, carissimi fratelli nel ministero, non smettiamo mai di chiederci se il nostro popolo, pensando e guardando noi, si convince che davvero noi stiamo dando la vita per la salvezza di quanti sono affidati alle nostre cure.

Sì, carissimi fratelli nel ministero, noi stessi non dobbiamo mai smettere di chiederci con un esame di coscienza quotidiano, costante, coraggioso, se davvero stiamo dando la vita per il gregge del Signore, che egli stesso ci ha affidato, a partire dal giorno in cui siamo stati ordinati. Se per un verso la croce provocò l’iniziale sconcerto dei discepoli, tanto è vero che fuggirono tutti, quando poi entrarono nella luce della Pasqua, ripensarono a tutte le parole dette dal maestro e cominciarono a comprenderle in un modo assolutamente nuovo e imprevedibile.

Una cosa è certa: noi, di Gesù Pastore siamo e perciò dobbiamo essere con un incessante esercizio ascetico, prolungamento, immagine viva, credibile, per gli uomini e le donne del nostro tempo. Dobbiamo essere più che mai convinti e dunque pronti non solo e non tanto a diffondere le sue dottrine, magari giustamente preoccupandoci di farlo in maniera fedele rispetto a ciò che Lui ha detto e fatto, ma dovremmo – credo – prendere davvero sempre più sul serio quello che Gesù dice di sé: “Il buon pastore dà la vita per le sue pecore”.

Cioè, non si tratta di fare semplicemente i maestri di chi non lo conosce e nemmeno di fare i soccorritori di chi è in difficoltà, cose tutte di per sé importantissime, anzi necessarie e indispensabili, ma qui si tratta di “dare la vita”. Sì, dare la vita, sapere che non ci apparteniamo più, che non abbiamo nulla di nostro da mettere in salvo, come ministri ordinati, come comunità e come Chiesa nel suo insieme: il tempo, le cose, la reputazione, i beni, la salute, la vita, insomma, proprio come Lui, che non ha pensato di mettersi in salvo, ma ha dato sé stesso, “fino alla fine” dirà l’evangelista Giovanni introducendo i racconti della passione.

Il nostro protettore san Riccardo ci ricorda oggi ancora una volta, carissimi, che abbiamo bisogno di dirci che non siamo mercenari, anche se esperti, preparati, competenti ma, in fondo, pur sempre, semplici esecutori di quanto ci viene comandato. Visto che Gesù mette a confronto sé stesso con la figura del mercenario, al quale non importa nulla delle pecore, non sembri esagerato dirci oggi, in questa solenne circostanza, nella quale guardiamo al santo Vescovo Riccardo, nostro Patrono, che noi non siamo mercenari, ma stiamo dando la vita, seguendo l’esempio del Signore e del nostro santo protettore. Lui l’ha fatto e ha lasciato traccia profonda nel vissuto del nostro popolo, tanto che a distanza di secoli ancora il ricordo e l’amore alla sua figura sono radicate nel nostro popolo. Non c’è famiglia in Andria che non abbia qualcuno che porti il nome del santo Vescovo.

Perciò, credo che oggi proprio il nostro protettore San Riccardo ci solleciti a porci seriamente questa domanda, senza dare per scontata la risposta: Ci sta a cuore, ci importa, ci fa star male il pensiero dei tanti nostri fratelli che non conoscono il Signore o lo conoscono in maniera distorta, incompleta? Ci sentiamo investiti di responsabilità quando pensiamo a questo? Sentiamo o no lo slancio missionario di portare la Parola e la testimonianza cristiana nella vita di ogni giorno, in tutte le relazioni che viviamo, anche in quelle solo occasionali? Proviamo a dirci con un po’ di coraggio che forse non lo conoscono perché non hanno ancora trovato nessuno che ha fatto assaporare loro la bellezza e la gioia di aver trovato in Lui il senso dell’esistenza, la risposta agli interrogativi più profondi della vita. Per esempio, attraversare la nostra città con tante belle processioni è proprio sicuro che sia l’unica cosa che possiamo fare per annunciare i valori della nostra fede? O forse non è arrivato da tempo il momento di riflettere seriamente e cominciare a studiare per sperimentare nuove modalità di annuncio che riescano davvero ad intercettare l’ansia di verità che di sicuro è nel cuore di tutti, ma che non si riconosce in certe manifestazioni solo esteriori, che rischiano di esaurirsi in un puro devozionismo che appaga quanti lo praticano, ma lascia del tutto indifferenti tutti gli altri, soprattutto, ripeto, le fasce più giovani? Siamo credenti per “salvarci l’anima”, come si dice in genere, o per “salvare il mondo”? Insomma, carissimi, andiamo al cuore della questione e domandiamoci: stiamo dando veramente la vita a Cristo, al Vangelo, alla Chiesa, al mondo?

Che Gesù, sommo ed eterno sacerdote, con l’intercessione del nostro santo vescovo Riccardo, ci tenga lontani da questo pericolo e ci renda ogni giorno di più annunciatori gioiosi, forti e miti della Parola e della Grazia che ci salva.

AMEN!